venerdì 14 gennaio 2011

La sfida dei giovani umiliati dal Potere ora tremano i vecchi raìs del Maghreb




Nessun paese del Nord Africa è immune. Le rivolte delle nuove generazioni sono potenti detonatori che possono imporre svolte politiche di BERNARDO VALLI


La sfida dei giovani umiliati dal Potere ora tremano i vecchi raìs del Maghreb
SUI due versanti, su quello d´Occidente (Maghreb) come su quello d´Oriente (Mashreck), il mondo arabo conosce una stagione agitata. Scorre il sangue e vecchi raìs rischiano il posto. I regimi musulmani tra l´Atlantico e il Mar Rosso, molti dei quali allineati sulla costa meridionale del Mediterraneo, sono assai più stabili, o comunque longevi, di quel che generalmente si è indotti a pensare. E adesso, anche per l´età avanzata dei titolari, essi conoscono i guai della senilità, che non risparmia la politica, in particolare quando i vecchi governano società giovani, anzi giovanissime.

Il caso più caldo, anzi rovente, è quello della Tunisia, a qualche braccio di mare dalle nostre isole più a Sud. Il ritratto del 75 enne presidente, Zine el-Abidine Ben Ali, viene bruciato sulle piazze, tra Biserta e Sfax, da giovani nati nei (quasi) ventiquattro anni in cui egli ha troneggiato incontestato, senza interruzione, su tutte le pubbliche mura e pareti della Repubblica. A cancellare con rabbia la sua faccia sono ragazzi venuti al mondo quando lui era già al potere e che spesso muoiono (ne sono stati uccisi una settantantina negli ultimi giorni) con lui sempre al potere. Ma ancora per molto?

Quello che viene chiamato il "piccolo Maghreb", di cui fanno parte Marocco, Algeria e Tunisia (il " grande" comprende anche la Mauritania e la Libia), è ritenuto da molti economisti come il futuro naturale prolungamento dell'Europa, al di là del
Mediterraneo. Esso è infatti destinato a fornire, come già avviene, al Vecchio Continente molti dei giovani e dei lavoratori di cui avrà sempre più bisogno; e col tempo diventerà un grande serbatoio di consumatori. Di fatto lo è già per i nostri prodotti, scambiati con il gas algerino.

Con il "piccolo" Maghreb l'Europa ha in comune da adesso la malattia della disoccupazione giovanile. Le centinaia di migliaia di giovani che escono da istituti tecnici e facoltà universitarie non trovano un lavoro. E la crisi generale ha drasticamente ridotto la possibilità di emigrare in Europa. Il 62 per cento dei disoccupati marocchini, il 72 per cento dei tunisini e il 75 per cento degli algerini (secondo l'economista Lahcen Achy della fondazione Carnegie) hanno tra i quindici e i ventinove anni.

Insieme all'impossibilità di trovare un lavoro, questi giovani denunciano l'hogra, termine che esprime l'umiliazione inflitta dall'abuso del potere dei vecchi dirigenti, dal disprezzo e dall'arroganza delle autorità. Negli ultimi vent'anni la forte crescita economica (quasi sempre superiore al 5 per cento) ha reso più tollerabile il regime poliziesco tunisino. S'era creato qualcosa di simile a un vago patto sociale stando al quale l'autoritarismo e la corruzione venivano compensati dal rapido sviluppo, ammirato, invidiato dai paesi vicini.

La Tunisia dispone di una dinamica e spregiudicata classe imprenditoriale che ha saputo usufruire dei forti investimenti stranieri (francesi e italiani soprattutto) attirati da una mano d'opera abile, competitiva e al tempo stesso a buon mercato. Lo sconquasso finanziario e la stagnazione economica in Occidente hanno ridimensionato le attività e ridotto il numero dei turisti sulle accoglienti spiagge tunisine. Se la borghesia imprenditoriale, superprotetta, è rimasta fedele al regime, le classi intellettuali, spesso educate in Francia o influenzate dalla cultura francese, hanno sentito ancor più il peso di una società dominata da un vecchio presidente, circondato da una famiglia celebre per la sua avidità. I giovani hanno concretizzato con la rivolta quella frustrazione. I vicini paesi occidentali, quali la Francia e l'Italia, esitano ancora oggi a privare del loro sostegno un presidente "laico" che ha impedito ai loro occhi l'avvento di un potere islamico affacciato sul Mediterraneo. Una tolleranza complice e cieca poiché il fanatismo religioso prolifera dove regna l'ingiustizia ed esplode la collera popolare.

Nessuno dei Paesi del "piccolo" Maghreb è immune. Le rivolte giovanili sono potenti detonatori che possono imporre svolte politiche. Per ora questo non è accaduto, pur essendo la stagione propizia. La vecchia monarchia marocchina, favorita dal prestigio (anche religioso) di cui usufruisce, ha adottato negli ultimi dieci anni, da quando all'abile e spietato Hassan II è succeduto il più mite Maometto VI, un sistema che cerca con alterna efficacia, di aiutare i laureati e i diplomati disoccupati. Il sovrano, che regna e governa, con uno spirito liberale ben lontano da quello di una democrazia occidentale, ma anche ben distinto da quello dei vicini autoritarismi arabi, ha autorizzato la nascita di associazioni in cui si ritrovano i laureati senza lavoro. Sono una specie di sindacati che servono anche come sfogo, poiché i suoi membri si raccolgono quasi quotidianamente davanti al Parlamento per protestare. E il governo non è del tutto sordo perché puntualmente ne assume un certo numero nell'amministrazione statale. Nonostante la forti sperequazioni sociali il Marocco non ha conosciuto finora esplosioni giovanili, anche se si parla spesso di una fitta attività dei movimenti islamisti ansiosi di raccogliere e inquadrare lo scontento.

La vicina Algeria conosce invece puntualmente da anni sanguinose rivolte. Abdelaziz Bouteflika, 74 anni, è stato eletto presidente per la prima volta alla fine del secolo scorso e ha iniziato il terzo mandato nel 2009. E' un rappresentante della classe politica uscita dalla guerra di liberazione, conclusasi con l'indipendenza, nel 1962. Se è al potere lo deve all'esercito, come tutti i suoi predecessori. Ad eccezione di Ben Bella, che per tre anni scarsi ha cercato invano di incarnare una rivoluzione, in qualche modo fedele ai confusi progetti abbozzati durante la coraggiosa lotta armata. Grazie agli idrocarburi, che rappresentano il 97 per cento delle entrate, il regime (composto di militari in divisa o in abiti civili) mantiene il paese. L'hogra, ossia l'umiliazione imposta dallo strapotere delle autorità, è un'espressione di origine algerina. L'arroganza di chi comanda in Algeria non impedisce tuttavia alla gente di parlare (quasi) liberamente, al contrario di quel che accadeva fino a ieri nella vicina Tunisia.

A parte il Marocco, dove la dinastia garantisce un regolare passaggio sul trono, i paesi dell'Africa settentrionale soffrono del male della successione, poiché nessuno vuol lasciare il potere a un estraneo. E quindi non c'è un presidente che non abbia modificato la Costituzione al fine di fare un imprecisato numero di mandati. Muhammar Gheddafi governa in Libia dal 1969, da più di quarant'anni, ed essendo sulla soglia dei settanta pare stia riflettendo a quale dei due figli lasciare un giorno, ancora lontano, la guida del paese. Ma il caso più spinoso è quello egiziano. Nella più prestigiosa nazione araba, dove comincia il Maschrek (l'Oriente o il Levante arabo), Hosni Mubarak ha ottantadue anni ed è capo dello Stato da trentadue, dalla morte di Sadat. E la sua futura grande impresa riguarda come trasmettere il potere al figlio Gamal. La tragedia della piccola Tunisia, dove i giovani si ribellano al vecchio satrapo, può ispirare anche le grandi nazioni.

(14 gennaio 2011)
http://www.repubblica.it/esteri/2011/01/14/news/la_sfida_dei_giovani_umiliati_dal_potere_ora_tremano_i_vecchi_ras_del_maghreb-11204285/?ref=HRER2-1

Nessun commento:

Posta un commento