mercoledì 1 giugno 2011

LIBANO: ATTENTATO AGLI ITALIANI "Stiamo aspettando un attacco contro le forze dell’Unifil"

Un documento riservato delle Nazioni Unite «La Siria prepara ritorsioni per le sanzioni Ue»


LAO PETRILLI

NEW YORK
Un documento che doveva rimanere riservato - di cui La Stampa è venuta in possesso - toglie il velo a tutte le prudenti rassicurazioni ufficiali sulla missione in Libano. E’ il 26 maggio, la vigilia dell’attentato di Sidone. Un alto dirigente delle Nazioni Unite scrive decine di preoccupatissime righe, definite poi «premonitorie» dai suoi stessi colleghi e ora diventate punto di riferimento nell’inchiesta delle forze internazionali dell’Unifil sulla bomba che l’altro ieri quasi aveva ucciso i sei militari italiani - Francesco Mazzotta, Giovanni Maiello, Giovanni Memoli, Antonio Sorgente, Carmine D’Avanzo e Gaetano Travaglino raggiunti ieri sera da alcuni parenti partiti con un Falcon 900 del governo dall’aeroporto di Ciampino.

Non è vero, dunque, che nessuno se l’aspettava. Ci sono parecchi pezzi di carta che raccontano di questo allarme invece pubblicamente negato a livello internazionale. Soprattutto c’è un post-it, appiccicato sul documento confidenziale siglato CLX-058 e circolato su una manciata di scrivanie di uomini delle Nazioni Unite in due momenti diversi: prima dell’attentato e dopo.

Fra i dettagliati punti di quello che è di fatto un rapporto di intelligence, vi sono frasi evidenziate in giallo e un commento aggiunto a ordigno esploso laddove l’estensore del testo - anche dopo aver avuto conversazioni con le sue fonti libanesi - ricorda le ritorsioni minacciate dal ministro degli Esteri siriano Walid Al Mouallem per le sanzioni imposte dall’Europa al regime di Damasco, reo di reprimere con la violenza le proteste anti-Assad. «Molti in Libano interpretano» le sue parole «come un avvertimento» e «fra gli interessi che potrebbero essere presi di mira c’è la missione Unifil», avevascritto giusto il 26 maggio il funzionario delle Nazioni Unite. Un passaggio che ha fatto venire i brividi sulla schiena a chi, rileggendo il testo, nel far ricircolare l’analisi, ha scritto appena sotto a penna: «premonitorio?».

Un post-it che sembra l’indicazione della pista seguita adesso dagli investigatori. Quelli libanesi hanno fermato ieri due sospetti, un libanese e un palestinese, subito messi sotto torchio. L’attacco di Sidone, secondo quanto emerso dai primi interrogatori, sarebbe da mettere in relazione agli scontri del 15 maggio, alle frontiere con Israele.

Lo Stato ebraico aveva accusato Damasco di essere dietro quelle proteste avvenute a metà del mese, orchestrate - a suo dire - per distogliere l’attenzione da quello che sta succedendo in Siria. Che influenzi tutta l’area è comunque evidente a tutti. Il documento premonitore dell’Onu, intitolato non a caso «L’impatto della crisi siriana sulla situazione politica e sulla sicurezza in Libano», sottolinea che dopo aver applaudito le rivolte in altri Paesi arabi e taciuto a lungo sui fatti dell’immediato oltreconfine, il 25 maggio, a due giorni dall’attentato agli italiani, il leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha rotto il silenzio sulla Siria, dichiarando il suo appoggio al presidente Bashar Assad che «a differenza dei leader di Libia, Bahrein e Yemen ha avviato un percorso di riforme». Hezbollah, va detto, ha condannato l’attacco di Sidone. Fonti diplomatiche locali, però, «annotano e registrano la coincidenza temporale fra le affermazioni di Nasrallah e le notizie giunte poche ore dopo».

Va aggiunto che sempre il 25 maggio le forze libanesi hanno fermato un uomo che si accingeva a lanciare un razzo verso Israele. In altri due casi - in passato - la cosa aveva scatenato la rabbia delle forze più o meno oscure che non accettano le «interferenze». I tre precedenti attacchi all’Unifil, poi, non sono stati mai rivendicati. «E non ci aspettiamo che qualcuno metta la firma su quello di Sidone», dice adesso una fonte dell’intelligence.

La mano degli attentatori - seppure da loro ritratta - si vedrà probabilmente con le analisi e le indagini sull’esplosivo usato contro gli italiani: 10 chilogrammi, pare. La bomba era stata nascosta in un isolotto stradale, fra due corsie. E sarebbe stata azionata con un telecomando remoto. I jammer, quei dissuasori che emanando impulsi disinnescano molti ordigni a distanza, stavolta non hanno funzionato. Eppure erano accesi. Come mai? E, altra domanda alla quale occorrerà dare una risposta, dato che mettere una bomba lì, in prossimità di un grande snodo stradale, non è cosa che si fa se non si è molto sicuri. Chi ha protetto gli attentatori? Chi si è voltato dall’altra parte?

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/404531/

Nessun commento:

Posta un commento