giovedì 3 febbraio 2011

IL MONDO ARABO E LE RIVOLTE DEL PANE

di Giulio Albanese, missionario comboniano

La "rivolta del pane" che sta interessando trasversalemnte il Nordafrica, dall'Algeria all'Egitto, con epicentro in Tunisia, è sintomatica del malessere che attanaglia quei Paesi del mondo arabo che, più di altri, hanno instaurato in questi anni buoni rapporti con l'Occidente. Stiamo parlando di potenti oligarghie capaci di seminare il terrore attraverso la repressione tipica dei governi dittatoriali, quella che soffoca, per sua stessa natura, qualsiasi istanza democratica sollevata dalle opposizioni.
Emblematico è l'esempio del ventennale regime tunisino di Ben Alì, un personaggio capace di monopolizzare la vita politica nazionale, facendo credere, a certe sprovvedute cancellerie europee, di avere il sostegno delle folle. La sicurezza rappresentava per l'ex presidente tunisino un "chiodo fisso", non solo per assicurare la protezione dei turisti, ma soprattutto per garantire al suo Governo il pieno controllo della nazione nelle sue molteplici articolazioni. Sta di fatto che da quelle parti la questione sociale è davvero rovente e potrebbe, prima o poi, manifestarsi in molti altri Paesi del Sud del mondo, considerati al momento fuori pericolo.
Il timore nasce dal pericoloso sommarsi, su scala planetaria, dei costi eccessivamente elevati delle derrate agricole con effetti devastanti sui ceti meno abbienti.
Si tratta di una crisi economica generale e persistente, che priva milioni di persone, particolarmente i giovani, del proprio posto di lavoro. A ciò si aggiunga il fatto che ogni variazione benchè minima di prezzi e tariffe, dal costo del carburante ai servizi della telefonia cellulare, intacca inesorabilmente i redditi, ormai ridotti all'osso, della povera gente. Nel frattempo, molti giovani sono costretti a "raschiare il barile" per far fronte alla spesa pubblica, falcidiati come sono dalla crisi finanziaria globale e dall'incertezza di un sistema che fa acqua da tutte le parti.
Qualcuno, anche da noi qui in Italia, vorrebbe che l'economia nel suo complesso fosse sempre e comunque un cane sciolto. Questi sono i risultati.

Tratto da famiglia cristiana n. 6/2011

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