lunedì 4 gennaio 2010

" Sui monti della penisola arabica il vivaio della nuova jihad "

di Renzo Guolo, la Repubblica 3 gennaio 2010.






Che lo Yemen fosse un importante fronte di Al Qaeda, si sapeva prima che Umar Farouk Abdul Matullab tentasse di farsi esplodere nel cielo di Detroit. Nei giorni che precedevano l´imbarco del nigeriano sul volo Delta l´America aveva effettuato raid.
Raid contro le locali basi qaediste che il governo di Sana´a non avrebbe mai potuto condurre. Ma la storia è di più lunga data: non risale nemmeno all´attentato che segna l´epopea jihadista nella regione, l´attacco alla nave Usa "Cole". Rimanda ancora più in là nel tempo.
Inizia con il ritorno degli islamisti radicali dal jihad afgano contro i sovietici. Reduci, ma non troppo, dai campi gestiti da Bin Laden, hanno elaborato una comune ideologia e figura del Nemico. Una minoranza attiva che le conseguenze della guerra del Golfo radicalizza ed espande. Anche perché Riad punisce il vicino Yemen, appena riunificato, per la mancata condanna all´invasione del Kuwait, espellendo un milione di yemeniti che lavorano in Arabia Saudita. Settecentomila di loro saranno costretti a vivere nei campi per rifugiati di Hodeida e Bajil nel sud del paese, divenuti presto ideale ricettacolo della propaganda binladiana contro i "governanti empi" sauditi e yemeniti.
Quando Bin Laden fonda Al Qaeda parte degli yemeniti, e dei suoi fedelissimi sauditi rifugiatisi nel paese oltrepassando una frontiera che le stesse mappe ufficiali definiscono indefinita, lo seguono in Afghanistan. È il caso del giovanissimo Nasir al Wahishi, attuale leader di «Al Qaeda nella Penisola Arabica», che diventa l´assistente di Osama, ma non solo: come rivela l´alto numero di yemeniti catturati ai piedi dell´Hindu Kush e spediti a Guantanamo. Altri rimangono nell´area, come le menti dell´attacco alla "Cole", che sfuggono alla cattura, trovando rifugio tra le tribù beduine del nord, use all´ospitalità verso estranei in cerca di protezione. Tribù che accentuano l´ostilità verso il governo centrale quando il presidente Saleh, schieratosi su pressione di Bush nella "guerra al terrore", cerca di riprendersi il controllo del territorio. Ostacolando così l´esercizio del tradizionale potere tribale. Violazione che, come in ogni realtà tradizione, Afghanistan, Somalia, Yemen che sia, mette in discussione il secolare rapporto tra centro e periferia, generando conflitto.
La debolezza di Sana´a si accentua quando la rivolta delle periferie investe le tribù sciite. Nel paese, a maggioranza sunnita, gli sciiti zaiditi sono circa sei milioni. Contrariamente ai loro confratelli iraniani, libanesi, iracheni, seguono una pratica religiosa che li distingue assai poco dai sunniti. Ma la pretesa di Saleh di negare la loro storica autonomia, la crescente influenza che il wahhabismo, ferocemente antisciita, esercita nel paese, conduce gli zaiditi, guidati dal clan degli Houthi, alla ribellione. Per sedarla Saleh chiede l´interessato intervento militare di Riad, che teme un possibile contagio nell´intera Penisola. Tra le minoranze sciite della stessa Arabia Saudita, e degli altri paesi del Golfo, da sempre ostili al potere sunnita e alla sua declinazione religiosa in chiave wahhabita. Situazione che rischia di offrire una sponda all´Iran, che di quelle minoranze si vuole protettore anche se nega uno specifico legame con gli zaiditi, con il quale Riad si affronta già, per interposti attori, negli scenari libanese e palestinese. Un conflitto che storna l´attenzione verso i qaedisti, che ne approfittano per radicare la loro organizzazione.
Lo Yemen è strategicamente rilevante per Al Qaeda: confina con l´odiato regno dei Saud, è ideale ponte tra l´area afgana e pakistana e quel Corno d´Africa che spalanca le porte del Continente nero attraverso la vicina Somalia, paese senza Stato dilaniato dalla guerra civile. E, soprattutto, terra di quegli Shebab la cui fazione più " internazionalista" si mobilita ora per fornire aiuto ai confratelli yemeniti. Contando anche sul fatto che lo Yemen è abitato da una minoranza somala. Un corridoio, quello yemenita, che permette la saldatura con Al Qaeda nel Maghreb, che non opera solo in riva al Mediterraneo ma, ormai, in Mauritania, in Mali, in Niger. In quella che si vuole una guerra senza territori, quel territorio conta sempre di più.

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