domenica 21 agosto 2011

La solitudine d'Israele

di Salvatore Falzone


I fatti tragici degli ultimi giorni con gli attentati multipli contro Israele, indicano, ancora una volta, che le organizzazioni terroristiche hanno nella loro agenda il mantenimento di una situazione di conflitto, ma indica anche la solitudine dello Stato Ebraico nell’affrontare tali organizzazioni.
Non c’è stata nessuna condanna esplicita da parte dell’Egitto, né di Hamas, né dell’Anp.
Solamente si sono limitati ad una pronuncia di “non responsabilità” per quanto accaduto e sta accadendo, non una presa di posizione e d’attivazione contro il terrorismo.

L’Egitto, pur avendo interesse affinché il suo territorio non sia destabilizzato, non solo per il mantenimento della pace con Israele, visto che i controlli al valico di Rafak e sul Sinai sono di sua competenza con tanto di presenza dei soldati egiziani, bensì per evitare la sovversione della Repubblica laica egiziana con la presa di potere dei vari gruppi estremisti, o dell’ala dura dei Fratelli musulmani, si concentra sulla crisi diplomatica con Israele, (nonostante le aperture di quest’ultimo); Hamas, che si trova al governo nella Striscia di Gaza mostra tutta la sua non politica con il suo vero volto, con tanto di lanci di missili grad che hanno una gittata tale da mantenere nel mirino il sud d’Israele, infine l’Anp mantiene un atteggiamento che mostra come la tanto sbandierata “unità palestinese” sia inesistente.

Sul versante internazionale gli Usa, l’UE e l’Onu, dopo le solite prese di posizione, mostrano una forte debolezza politica. Oramai la loro credibilità tende a scemare per la mancanza di una visione d’insieme della situazione israelo-arabo-palestinese.
In una situazione del genere Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, si trova in solitudine a difendersi per la sua sicurezza nazionale davanti alle ostilità dei Paesi limitrofi, davanti al terrorismo

venerdì 19 agosto 2011

Attentato multiplo nel sud di Israele

Attentato terrorista multiplo, giovedì, contro il sud di Israele: almeno sette persone uccise, trenta i feriti, alcuni in condizioni critiche.
Nel primo attacco un commando di almeno tre terroristi, a quanto pare con addosso divise militari blu (egiziane), ha teso un’imboscata a raffiche di mitra contro un autobus della linea 392 in viaggio da Beersheva (capoluogo del Negev israeliano) a Eilat (nell’estremo sud del paese, sulla costa del Mar Rosso). L’attacco, che ha avuto luogo sulla Strada 12, una ventina di km a nord di Eilat, presso l’incrocio di Ein Netafim, ha causato almeno una dozzina di feriti, di cui diversi in gravi condizioni. I feriti sono stati trasportati d’urgenza con ambulanze ed elicotteri agli ospedali Yoseftal di Eilat e Soroka di Beersheva.
Pochi minuti dopo, giungeva notizia di un secondo attacco nella stessa regione, con armi da fuoco e lancia-granate contro un autobus e un’auto privata: sette le persone ferite, alcune mortalmente. Secondo il portavoce delle Forze di Difesa israeliane, fra le vittime vi sarebbero anche dei soldati.
Un terzo attentato verso l’una del pomeriggio vedeva all’opera diversi ordigni esplosivi e lanci di razzi contro unità delle Forze di Difesa israeliane in servizio di pattuglia lungo il confine fra Israele ed Egitto.
Poco dopo, militari israeliani ingaggiavano uno scontro a fuoco con un gruppo di terroristi, uccidendone tre o quattro.
Tutte le strade verso Eilat sono state temporaneamente chiuse al traffico. Chiuso anche l’aeroporto di Ovda, mentre le forze di sicurezza si sono lanciate alla ricerca dei responsabili in tutta la zona.
Secondo fonti della difesa, almeno parte degli attacchi sarebbero stati portati dal versante egiziano della frontiera. Un funzionario della sicurezza egiziana ha sostenuto invece che tutti gli attacchi si sarebbero svolti all’interno dei confini d’Israele. Nei giorni scorsi le autorità israeliane avevano espresso la preoccupazione che gruppi di terroristi nel Sinai potessero sfruttare il vuoto seguito dalla destituzione del presidente egiziano Hosni Mubarak nel febbraio scorso.
"Agiremo contro l'origine degli attentati con tutta la forza e la determinazione", ha affermato il ministro della difesa, Ehud Barak.

Secondo la testimonianza di diversi passeggeri, Benny Belevsky, 60 anni, l’autista dell’autobus Egged n. 392 attaccato dai terroristi, ha evitato un esito ancora più grave agendo immediatamente con molto sangue freddo. Belevsky ha continuato a guidare sotto la pioggia di proiettili ed ha accelerato cercando di portare in salvo il mezzo, pieno di passeggeri, mentre alcuni soldati a bordo cercavano di rispondere al fuoco e del personale sanitario iniziava subito a prendersi cura dei feriti.

Parlando ai giornalisti giovedì pomeriggio, il comandante della zona sud delle Forze di Difesa israeliane, gen. Tal Russo, ha riepilogato la dinamica degli attentati, costati la vita a sei civili e un militare israeliano. Tre terroristi armati di cariche esplosive, armi automatiche e granate sono penetrati in Israele dal Sinai, si sono sparpagliati su un raggio di 300 metri e hanno iniziato a sparare sul primo autobus. Poi hanno sparato su un’auto privata e su un secondo autobus. Più tardi un attentatore suicida si è fatto esplodere e un altro terrorista apriva il fuoco sui militari sopraggiunti sul luogo degli attentati. Due terroristi sono stati eliminati dalle forze israeliane, e sembra che altri due siano stati intercettati e uccisi da forze egiziane sull’altro versante della frontiera. Successivamente i militari israeliani hanno rinvenuto cariche esplosive disseminate sul terreno. Uno degli attacchi ha avuto luogo nei pressi di un posto di controllo egiziano.

Paskal Avrahami, 49 anni, ufficiale di un'unità anti-terrorismo della polizia israeliana, è rimasto ucciso giovedì pomeriggio quando dei terroristi da oltre confine hanno aperto il fuoco su agenti e militari impegnati nelle operazioni di pattugliamento nella zona degli attentati avvenuti poche ore prima, nel sud del paese. La sua morte porta a otto il bilancio degli israeliani morti nella serie di attacchi terroristici di giovedì.

(Da: YnetNews, Jerusalem Post, Ha'aretz, 18.8.11)
http://www.israele.net/articolo,3208.htm

martedì 16 agosto 2011

Quarto giorno di fuoco a Latakia Raid notturni, almeno 30 morti

La cittadina costiera ancora sotto assedio. Sale il numero delle vittime. In alcune zone interrotte comunicazioni ed elettricità. Testimoni: "Si sentono esplosioni nei pressi del campo profughi di Raml", da dove sono fuggiti 5mila palestinesi. Duro monito del ministro degli Esteri turco: "E' l'ultimo avvertimento"

AMMAN - Non si ferma l'assedio del regime a Latakia. Il quarto giorno si è illuminato dopo i raid notturni durante i quali, secondo gli attivisti, ci sono state altre vittime e il bilancio è salito così a trenta morti compresi 4 palestinesi uccisi mentre tentavano la fuga dalla zona di Raml al Janubi. Tra questi c'era anche una donna. Secondo testimoni si sentono ancora "colpi di arma pesante e esplosioni nei pressi del campo profughi di Raml", da dove ieri sono fuggiti oltre 5mila palestinesi. In mattinata i tank dell'esercito siriano hanno aperto nuovamente 1il fuoco sulla cittadina del Mediterraneo, ieri pesantemente bombardata anche dal mare.

L'esodo dal campo profughi. Alcuni dei rifugiati di Latakia sono stati costretti dalle bombe ad abbandonare il campo su richiesta dell'esercito siriano, mentre altri se ne sono andati spontaneamente temendo per la propria vita, come ha spiegato il portavoce dell'Unrwa Christopher Gunness alla Cnn. "Stiamo chiedendo al governo siriano di poter incontrare i palestinesi, il loro benessere è una nostra responsabilità - ha detto Gunness -. Dobbiamo essere là per verificare cosa sta accadendo". "La tragedia di Raml al Janubi prosegue da ieri", ha denunciato il Coordinamento locale dei comitati
in Siria in un comunicato diffuso oggi. Secondo il gruppo dell'opposizione siriana dall'inizio della rivolta contro Assad a metà marzo, sono 2.545 le persone uccise, la cui maggior parte è composta da civili, mentre 391 sono agenti della sicurezza.

Vietato l'ingresso a organizzazioni umanitarie.
Le autorità siriane si rifiutano di concedere l'accesso al campo profughi di Latakia alle organizzazioni umanitarie. Lo ha denunciato Yasser Abed Rabbo, membro dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina. "Il campo è sotto pesanti bombardamenti da ieri" e le autorità non consentono all'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unrwa) di entrare nel campo, ha detto Abed Rabbo che, accusando il governo del presidente siriano Bashar al-Assad di essere "anarchico", ha aggiunto che le forze siriane "uccidono il loro popolo, opprimono e bombardano". Zakareya Al-Agha, responsabile degli affari dei rifugiati all'interno dell'Olp, ha detto che decine di palestinesi nel campo sono stati uccisi o feriti. Non ci sono contatti tra la leadership palestinese e le autorità siriane, ha spiegato Al-Agha alla radio 'Voice of Palestine' senza spiegare i motivi.

Scontri al confine con il Libano
. Attivisti contattati dalla capitale siriana hanno poi raccontato che nella zona di Saliba, a Latakia, sono state interrotte le comunicazioni e l'elettricità. Ma è stata la zona di Simakayeh la più presa di mira durante questa notte quando l'esercito siriano ha intensificato le sue azioni repressive nei confronti dei manifestanti anti regime di Bashar al-Assad. Secondo gli attivisti ci sono esplosioni e scontri a fuoco alla frontiera settentrionale con il Libano. "Si è avvertito un pesante bombardamento dall'altra parte della frontiera perché Simakayeh è molto vicina al Libano", ha detto Omar Idlibi. Una fonte della sicurezza libanese ha poi aggiunto che guardie di frontiera hanno arrestato diverse famiglie a Simakayeh mentre tentavano di entrare nel nord del Libano dopo la mezzanotte. Citando attivisti a Damasco, inoltre, Idilbi ha denunciato che le forze di sicurezza hanno compiuto arresti di massa nel quartiere di Moadamiya, a Damasco.

L'ultimatum turco. Il ministro turco degli affari Esteri, Ahmet Davutoglu, ha esortato la Siria a porre fine "immediatamente e senza condizioni" alle operazioni militari contro i manifestanti. In un'ultima telefonata all'omologo ministro degli Esteri siriano Velid El Muallim, Davutogluha rivolto il suo monito: "Se le operazioni non finiranno - ha dichiarato - non ci sarà null'altro da dire in merito alle misure che potrebbero essere intraprese". Anche l'Anp, autorità palestinese, ha chiesto al governo di Damasco di garantire la sicurezza dei profughi palestinesi. Da Washington il portavoce della Casa Bianca John Carney ha dichiarato che il presidente Bashar Al-Assad deve "interrompere le violenze sistematiche, gli arresti di massa e l'uccisione senza senso e fuori ogni tipo di legge della propria popolazione".

La zona cuscinetto. Secondo quanto riporta la Cnn Turk, la Turchia sarebbe intenzionata a creare una zona cuscinetto al confine con la Siria. A giugno il quotidiano Hurriyet citava una fonte vicina al dossier, secondo la quale l'obiettivo della creazione di una zona cuscinetto in territorio siriano era quello di accogliere le molte persone in fuga dalle violenze in corso in Siria. Ma il numero dei siriani rifugiati in Turchia è calato. All'epoca si parlava di oltre diecimila persone, adesso sarebbero circa settemila.

http://www.repubblica.it/esteri/2011/08/16/news/siria_quarto-giorno_assedio-20493453/

venerdì 5 agosto 2011

Siria, il massacro quotidiano Assad prepotente, Onu impotente

La "Dichiarazione" di condanna e il massimo oggi possibile

Esisteva, ai tempi dell’Unione Sovietica la "solidarietà internazionalista", tante volte abbiamo sentito evocare negli ultimi vent’anni quella tra le democrazie e ancora più abusata è stata la solidarietà araba. Ma tra dittatori l’amicizia e l’appoggio fraterno hanno sempre avuto un corso molto limitato e, soprattutto, una validità che veniva immediatamente meno nei confronti di chi avesse avuto la sventura di cadere in disgrazia. Così non ci ha pensato su due volte, il presidente siriano Bachar el Assad, quando ha contato un po’ ingenuamente sul fatto che l’avvio del processo a Mubarak avrebbe distratto i media dal massacro che le forze armate siriane vanno compiendo per tutto il Paese. Proprio mentre le sue truppe stavano sottoponendo la città di Hama a un durissimo bombardamento, l’Onu pare essersi svegliata e aver adottato una "Dichiarazione" in cui si condannano "la violazione generalizzata dei diritti dell’uomo e l’uso della forza contro i civili da parte delle autorità siriane", ammonendo che "i responsabili delle violenze dovranno rispondere del loro operato".

È forse questa la parte più dura della Dichiarazione (cioè qualcosa di meno di una Risoluzione) che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CdS) ha con estrema fatica adottato mercoledì scorso, la prima da quando in Siria hanno avuto inizio le proteste tanto sanguinosamente represse dal regime. In altri fondamentali passaggi, la Dichiarazione invita tutte le parti cessare le violenze e ad evitare ogni rappresaglia anche nei confronti delle istituzioni statali (leggasi i funzionari del Baath e gli appartenenti alle forze di sicurezza) e chiarisce che la ricerca della via di uscita ovrà essere politica e tutta interna alla Siria (ovvero esclude che essa possa preludere a una Risoluzione che autorizzi un intervento militare). "La montagna ha partorito il topolino", si potrebbe dire, visto gli oltre 1600 civili ammazzati (cui si aggiungono quasi 400 tra militari e poliziotti) in questi pochi mesi. Ma era impossibile andare realisticamente oltre, considerata l’opposizione ferrea di Cina e Russia (ma anche di Paesi come l’India) a un’ingerenza "eccessiva" negli affari interni di uno Stato sovrano. Comunque un passo che va nella direzione chiesta dagli insorti.

Le Nazioni Unite, una volta di più, si ritrovano ostaggio delle logiche dei "grandi". Quelli tradizionali (i cinque membri permanenti del CdS) e quelli nuovi, come l’India appunto. Per questi e per molti altri Paesi, la protezione dei diritti umani invocata a gran voce dagli occidentali, cozza con la più gelosa tutela della propria indipendenza, spesso riconquistata a durissimo prezzo proprio contro le potenze coloniali occidentali. L’Occidente peraltro non si sta mostrando eccessivamente proclive a mettere più pressione al regime di Assad, nei cui confronti le sanzioni fin qui adottate dalla Ue o dagli Usa sono estremamente blande e, quel che è peggio, "inasprite" con la cautela e la lentezza tipiche dei bradipi. Come abbiamo ricordato tante volte anche in passato, la vera carta che Assad ha in mano è la consapevolezza del ruolo regionale giocato dalla Siria, all’interno del mondo arabo e nel conflitto con Israele.

Tutti temono, in particolare, le conseguenze che un tracollo della Siria, per non parlare di un suo possibile frazionamento, potrebbe avere per gli equilibri del Medio Oriente. Di questi timori si è fatto interprete il governo del piccolo e tormentato Libano (oggi espressione di una coalizione guidata da Hezbollah), che non arrivando a bloccare l’adozione della Dichiarazione del CdS (che richiede un’approvazione all’unanimità) si è però dissociato immediatamente dopo. Nel frattempo Assad ha deciso di porre fine, per decreto, al monopolio quasi cinquantennale del partito Baath. Forse nel suo delirio di onnipotenza il dittatore si crede un novello Harry Potter, capace di mutare la realtà con un colpo della sua bacchetta magica. O forse, la sua era solo una "inaccettabile provocazione", come con il forbito linguaggio diplomatico il ministro degli Esteri francese Alain Juppé, ha dovuto rassegnarsi a chiamare quella che, a tutti gli effetti, è una "presa per i fondelli".

Ne vedremo ancora e non delle belle. Basta che tutti questi minuetti non ci distraggano dal fatto che in Siria alcuni uccidono senza scrupoli e altri muoiono senza colpa, ogni giorno, ormai da mesi.
Vittorio E. Parsi

http://www.avvenire.it/Commenti/Siria+il+massacro+quotidiano_201108050737260930000.htm