mercoledì 23 novembre 2011

Quel generale prestato alla politica che la piazza odia più di Mubarak

Il personaggio Il feldmaresciallo Mohammed Hussein Tantawi, capo della Giunta militare di transizione, ex fedelissimo del raìs

L'uomo più potente e oggi forse più odiato d' Egitto, il generale Mohammed Hussein Tantawi, non accetta interviste, non parla in tv, in realtà non ama nemmeno - dicono fonti diplomatiche egiziane - fare politica. Quando incontrò Hillary Clinton, le confessò di «non vedere l' ora di tornare in caserma. Un esercito lo so comandare, un Paese no». È passato qualche mese da quelle parole: allora Tantawi era già a capo della Giunta militare di transizione, l' esercito era ricordato per il sostegno alla Rivoluzione. Oggi la strana luna di miele tra la «piazza» e i soldati è finita. Nel celebre slogan di Tahrir, «il popolo vuole la caduta del regime», l' ultima parola è stata sostituita con «generale». Tantawi resta schivo, c' è chi dice misterioso, ma quello che ha fatto (di male) e non ha fatto (di bene) è noto a tutti. E intanto è cresciuto il sospetto che si sia affezionato al potere e punti perfino a diventare raìs. Quando due mesi fa fu visto in abito scuro girare per il centro del Cairo a parlare con la gente e stringere mani, l' allarme scattò subito sui social network. Una prova di popolarità in vista della candidatura, affermarono molti, rispondendogli che «l' Egitto non voleva un abito civile, ma un governo civile». Poco dopo iniziarono a spuntare manifesti per la città inneggianti a «Tantawi raìs»: siamo fan autofinanziati, hanno dichiarato i capi della campagna, per altro prematura visto che le presidenziali non sono nemmeno annunciate. Ma al di là di questi «incidenti», pare improbabile che Tantawi punti a restare al potere. Anche se la voglia di tornare in caserma forse si è affievolita. Settantacinque anni, origine nubiana, ovvero del profondo Sud, ufficiale dal 1956 ed eroe nelle tre guerre contro Israele nonché in quella all' Iraq del 1991, da quella data Tantawi fu ministro della Difesa di Hosni Mubarak e uno dei suoi più fidi (e affini) sostenitori. «I suoi sottoposti lo chiamano il cagnolino del raìs, con cui condivide l' amore per lo status quo e la stabilità, l' età avanzata e la resistenza ai cambiamenti», lo descriveva la diplomazia Usa in Wikileaks tre anni fa. Certo non è il ritratto di un rivoluzionario, anche se all' inizio la «piazza» gli diede fiducia. Considerandolo non solo meglio di Mubarak (un altro generale ed eroe di guerra che all' inizio fu poco convinto del ruolo politico), ma anche di Omar Suleiman, l' ex capo dell' intelligence che per brevissimo tempo fu vicepresidente, ma il Paese non accettò come nuovo leader anche per le accuse di tortura. Ora, però, la transizione sta durando troppo, le opacità e gli errori del «reggente» aumentano. Tra le prime, lamenta l' opposizione, la testimonianza al processo Mubarak in cui non è chiaro cosa abbia detto Tantawi del suo ex raìs sull' ordine di sparare alla folla nella rivoluzione (pare sia stato sul vago, «non sapevo niente»). Tra i tanti errori, soprattutto la comunità finanziaria gli imputa di aver rinunciato al prestito da 3 miliardi del Fmi, aumentando il disastro dell' economia. «Non voleva l' aiuto di nessuno, ha agito per orgoglio», dice un imprenditore egiziano. Un' altra caratteristica del Generale, oltre alla fedeltà, alla ritrosia e all' amore per l' ordine.

Cecilia Zecchinelli
(22 novembre 2011) - Corriere della Sera