domenica 25 settembre 2011

Ecco l'intervento di Bibi Netanyahu alla Assemblea Generale dell'Onu

Riceviamo dalla Associazione Italia Israele di Vercelli, che ringraziamo, la trascrizione completa del discorso di Benyamin Netanyahu alla 66ma sessione dell' Assemblea Generale dell'ONU.

" Signore e signori, Israele ha steso la sua mano in pace dal momento in cui è stata istituita 63 anni fa. Per conto di Israele e il popolo ebraico, porgo la mano ancora oggi. La porgo al popolo di Egitto e Giordania, con rinnovata amicizia per i vicini con i quali abbiamo fatto pace. La porgo al popolo della Turchia, con rispetto e buona volontà. La porgo al popolo della Libia e Tunisia, con ammirazione per coloro che cercano di costruire un futuro democratico.
La porgo agli altri popoli del Nord Africa e della penisola arabica, con i quali vogliamo creare un nuovo inizio. La porgo al popolo di Siria, Libano e Iran, con rispetto per il coraggio di chi lotta contro una brutale repressione.

Ma soprattutto, porgo la mia mano al popolo palestinese, con cui cerchiamo una pace giusta e duratura.
Signore e signori, in Israele non si è mai attenuata la nostra speranza per la pace. I nostri scienziati, medici, innovatori, applicano il loro genio per migliorare il mondo di domani. I nostri artisti, i nostri scrittori, arricchiscono il patrimonio dell'umanità.
Ora, so che questo non è esattamente l'immagine di Israele che è spesso ritratta in questa sala.
Dopo tutto, fu qui che nel 1975 si affermò l'antico desiderio del mio popolo di ristabilire la nostra unità nazionale nella nostra patria biblica - fu allora che questo sentimento venne vergognosamente assimilato e rimarcato , come razzismo.
E fu qui nel 1980, proprio qui, che l'accordo di pace storico tra Israele e l'Egitto non è stato elogiato, ma è stato denunciato!
Ed è qui, anno dopo anno che Israele è stato ingiustamente e unilateralmente accusato. E' sovente individuato come deprecabile più spesso di tutte le nazioni del mondo messe insieme.
Ventuno delle 27 risoluzioni dell'Assemblea Generale condannano Israele – l’unica vera democrazia in Medio Oriente. Bene, questa è un aspetto infelice dell'istituzione delle Nazioni Unite. E' il teatro dell'assurdo.
Non solo presentare Israele come il cattivo, ma far risaltare spesso i veri cattivi nei ruoli principali:
Gheddafi (Libia) ha presieduto la Commissione ONU per i Diritti Umani,
l'Iraq di Saddam a capo del Comitato delle Nazioni Unite sul disarmo.
Si potrebbe dire: quello è il passato.
Bene, ecco cosa sta succedendo adesso - proprio adesso, oggi.
Libano controllato da Hezbollah ora presiede il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Ciò significa, in effetti, che un'organizzazione terroristica presiede l'organo incaricato di garantire la sicurezza del mondo.
Non si sarebbe dovuti giungere a questo. Così qui alle Nazioni Unite, la maggioranza può decidere tutto. Essa (la maggioranza dell’Assemblea) può deliberare che il sole tramonta a ovest o sorge ad ovest.
Credo che ciò sia già stato pre-ordinato. Ma la stessa può anche decidere (ha deciso) che il Muro del Pianto a Gerusalemme, luogo più sacro dell'ebraismo, sia territorio palestinese occupato.
Eppure anche qui in Assemblea Generale, la verità a volte può affiorare.
Nel 1984, quando sono stato nominato ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, ho visitato il grande rabbino di Lubavich. Lui mi ha detto (e signore e signori, non voglio che qualcuno di voi possa sentirsi offeso, perché per esperienza personale nel lavorare qui, so che ci sono molti uomini e donne di grande competenza, molte persone capaci e assennatamente al servizio dei loro popoli qui).
Ma ecco ciò che il rabbino mi disse. Egli mi disse, sarete in servizio in una casa dove alberga la menzogna. E poi mi ha detto, ricorda che anche nel luogo più oscuro, alla luce di una candela può essere visto in profondità.
Oggi spero che la luce della verità brillerà, anche se solo per pochi minuti, in una sala che per troppo tempo è stato un luogo di oscurità per il mio paese. Quindi, come primo ministro di Israele, non sono venuto qui per ottenere applausi. Sono venuto qui per dire la verità.
La verità è che Israele vuole la pace. La verità è che io voglio la pace. La verità è che in Medio Oriente, in ogni momento, ma soprattutto in questi giorni turbolenti, la pace deve essere mantenuta in sicurezza. La verità è che non possiamo raggiungere la pace attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite, ma solo attraverso negoziati diretti tra le parti.
La verità è che finora i palestinesi hanno rifiutato di negoziare.
La verità è che Israele vuole la pace con uno stato palestinese, ma i palestinesi vogliono uno stato senza pace. E la verità è che non si dovrebbe permettere che questo accada.
Signore e signori, quando sono arrivato qui 27 anni fa, il mondo era diviso tra Oriente e Occidente. Da allora, fine della Guerra Fredda, grandi civiltà sono passate da secoli di sonno, centinaia di milioni di persone sono state sottratte alla povertà, innumerevoli altri sono pronti a seguire, e la cosa notevole è che finora questo cambiamento storicamente monumentale è in gran parte avvenuto pacificamente.
Eppure, un tumore maligno si sta sviluppando tra Oriente e Occidente che minaccia la pace di tutti. Non mira a liberare, ma a rendere schiavi, non a costruire ma a distruggere.
Male che è l'Islam militante. Si avvolge nel mantello di una grande fede, eppure non risparmia omicidi di ebrei, cristiani e musulmani con uguale imparzialità. L'11 settembre ha ucciso migliaia di americani, e ha lasciato le torri gemelle in rovine fumanti. Ieri sera ho deposto una corona di fiori sul memoriale dell’ 11 settembre.
E 'stato commovente. Ma mentre stavo andando lì, una cosa ha preso voce nella mia mente: le parole oltraggiose del presidente iraniano su questo podio ieri. Ci ha suggerito che l’ 11 settembre è stato un complotto americano. Alcuni di voi hanno lasciato questa sala. Tutti voi dovreste averne consapevolezza. Dall’ 11 settembre, gli islamisti militanti hanno ucciso innumerevoli altri innocenti - a Londra e Madrid, a Baghdad e Mumbai, a Tel Aviv e Gerusalemme, in ogni parte di Israele.
Io credo che il più grande pericolo per il nostro mondo è che questo fanatismo possa armarsi con armi nucleari. E questo è esattamente ciò che l'Iran sta cercando di fare. Potete immaginare l'uomo che urlava qui ieri – lo si può immaginare con armi nucleari?
La comunità internazionale deve fermare l'Iran prima che sia troppo tardi.
Se l'Iran non si ferma, noi tutti avremo di fronte lo spettro del terrorismo nucleare, e la Primavera araba potrebbe presto diventare un inverno iraniano. Sarebbe una tragedia.
Milioni di arabi sono scesi in piazza per sostituire la tirannia con la libertà, e nessuno ne beneficerebbe più di Israele, se coloro che sono impegnati per la libertà e la pace prevalessero.
Questa è la mia fervida speranza. Ma mentre ricopro l’incarico di primo ministro di Israele, non posso rischiare il futuro dello Stato ebraico su un pio desiderio.
I leader devono vedere la realtà così com'è, non come dovrebbe essere. Dobbiamo fare del nostro meglio per dare forma al futuro, ma non possiamo allontanare mentalmente i pericoli del presente.
E il mondo attorno a Israele è sicuramente sempre più pericoloso.
L'Islam militante ha già preso potere su Libano e su Gaza. E 'determinato a stracciare i trattati di pace tra Israele ed Egitto e tra Israele e Giordania.
E' intento a instillare veleno in molte menti arabe contro gli ebrei e Israele, contro l'America e l'Occidente.
Si oppone, non alle azioni politiche di Israele, ma all'esistenza stessa di Israele.
Ora, alcuni sostengono che la diffusione dell'Islam militante, soprattutto in questi tempi turbolenti - se lo si vuole rallentare, sostengono, Israele deve affrettarsi a fare concessioni, a concedere compromessi territoriali.
E questa teoria sembra semplice. Fondamentalmente è questa: lasciare il territorio, e la pace sara’ ottenuta di conseguenza. I moderati saranno rafforzati, i radicali saranno tenuti a bada. E non preoccuparsi dei dettagli fastidiosi di come Israele possa effettivamente difendersi: una presenza militare internazionale farà il lavoro.
Queste persone mi dicono sempre: basta fare una offerta ampia, e tutto funzionerà. Sapete, c'è un solo problema con questa teoria. Lo abbiamo provato e non ha funzionato.
Nel 2000 Israele ha fatto una offerta ampia di pace in grado di soddisfare praticamente tutte le richieste palestinesi. Arafat ha respinto.
I palestinesi poi hanno lanciato un attacco terroristico che ha causato un migliaio di vittime israeliane. Il primo ministro Olmert ha poi fatto una proposta ancora più radicale, nel 2008. Il presidente Abbas non ha nemmeno voluto rispondere.
Ma Israele ha fatto di più che fare offerte. Abbiamo effettivamente lasciato il territorio. Ci siamo ritirati dal Libano nel 2000 e da ogni centimetro quadrato di Gaza nel 2005. Con ciò non si calma la tempesta islamica, la tempesta militante islamica che ci minaccia. Ha solo ottenuto di rendere la tempesta più vicina e più forte. Hezbollah e Hamas ha lanciato migliaia di razzi contro le nostre città dai molti territori lasciati liberi.
Vedete, quando Israele ha lasciato il Libano e la striscia di Gaza, i moderati non hanno avuto il sopravvento sui radicali, i moderati sono stati divorati dai radicali. E mi dispiace dire che le truppe internazionali come UNIFIL in Libano e UBAM a Gaza non hanno bloccato le intenzioni dei radicali di attaccare Israele.
Abbiamo lasciato Gaza nella speranza per la pace. Non abbiamo congelato gli insediamenti a Gaza, li abbiamo sradicati.
Abbiamo fatto esattamente ciò che la teoria dice: andarsene, tornare ai confini del 1967, smantellare gli insediamenti.
E non credo che la gente ricordi quanto sia costato raggiungere questo obiettivo. Abbiamo sradicato migliaia di persone dalle loro case. Abbiamo portato via i bambini dalle loro scuole e asili. Noi abbiamo demolito sinagoghe. abbiamo anche spostato i loro cari dalle loro tombe.
E poi, dopo aver fatto tutto questo, abbiamo dato le chiavi di Gaza al presidente Abbas. Ora, la teoria dice che dovrebbe funzionare tutto e il Presidente Abbas con l'Autorità palestinese ora potrebbero costruire uno stato di pace a Gaza. Si può ricordare che il mondo intero ha applaudito. Hanno applaudito il nostro ritiro come l’atto di un grande statista. E 'stato un atto coraggioso di pace.
Ma signore e signori, non abbiamo pace. Abbiamo avuto la guerra. Abbiamo ottenuto che l'Iran, attraverso il suo procuratore Hamas abbia prontamente cacciato l'Autorità palestinese.
L'Autorità Palestinese è crollata in un giorno - in un giorno. Il presidente Abbas ha appena detto su questo podio che i palestinesi sono armati solo con le loro speranze e sogni.
Sì, con le speranze, i sogni e 10.000 missili e razzi Grad forniti da Iran, per non parlare del fiume di armi letali che ora scorre a Gaza dal Sinai, dalla Libia, e da altrove.
Migliaia di missili sono già piovuti sulle nostre città.
Così si potrebbe capire che, dato tutto questo, gli israeliani possano giustamente chiedersi: Cos’è possibile fare per evitare che ciò accada di nuovo in Cisgiordania?
Vedete, la maggior parte delle nostre grandi città del sud del paese si trovano a poche decine di chilometri da Gaza. Ma nel centro del paese, di fronte alla West Bank, le nostre città sono poche centinaia di metri o al massimo pochi chilometri di distanza dal confine della Cisgiordania.
Quindi voglio chiedervi. Cosa penserebbe di fare ognuno di voi – nel caso qualcuno portasse un pericolo così vicino alla vostra città, alle vostre famiglie? Volete agire in modo avventato con la vita dei vostri cittadini?
Israele è pronto ad avere uno stato palestinese in Cisgiordania, ma non siamo pronti ad avere un' altra Gaza lì.
Ed è per questo che abbiamo bisogno di misure di sicurezza reali, che i palestinesi si rifiutano di negoziare con noi.
Gli israeliani ricordano le amare lezioni di Gaza. Molti dei critici di Israele le ignorano.
Essi consigliano irresponsabilmente a Israele di proseguire di nuovo su questa stessa strada pericolosa. Voi capite quanto queste persone dicono ed è come se nulla fosse successo - solo ripeteno lo stesso consiglio, le stesse formule, come se niente di tutto questo è accaduto. E questi critici continuano a spingere Israele a fare ampie concessioni senza prima assicurare la sicurezza di Israele. Lodano quelli che involontariamente nutrono il coccodrillo insaziabile dell'Islam militante come impudenti statisti. Hanno linciato come nemici della pace, quelli di noi che insistono sul fatto che dobbiamo prima costruire una robusta barriera per tenere fuori il coccodrillo, o come minimo ostacolare con una sbarra di ferro tra le sue fauci spalancate.
Quindi, a fronte di etichette e calunnie, Israele deve ascoltare i buoni consigli. Meglio una cattiva stampa che un buon necrologio, e meglio ancora sarebbe una stampa giusta il cui senso della storia si estenda oltre la prima immagine, e che riconosca a Israele legittime preoccupazioni di sicurezza.
Credo che in seri negoziati di pace, questa esigenza e preoccupazioni possano essere adeguatamente affrontati, ma non sarà affrontata senza negoziati.
E le esigenze sono molte, perché Israele è un paese piccolo.
Senza Giudea e Samaria, in Cisgiordania, Israele è in tutto 9 miglia di larghezza. Voglio proporvelo seconda la vostra prospettiva, perché siete tutti qui a New York. Si tratta di circa due terzi della lunghezza di Manhattan. E' la distanza tra Battery Park e alla Columbia University.
E non dimenticate che le persone che vivono a Brooklyn o nel New Jersey sono molto diversi da coloro che vivono in alcuni paesi vicini di Israele.
Così come si fa - come si fa a proteggere un paese così piccolo, circondato da persone votate alla sua distruzione e armate fino ai denti dall'Iran?
Ovviamente non si può difendere solo dall'interno quello spazio ristretto. Israele ha bisogno di maggiore profondità strategica, e questo è esattamente il motivo per cui la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza non richiede a Israele di lasciare tutti i territori catturati nella Guerra dei Sei Giorni.
Si parlava di ritiro da territori, di confini sicuri e difendibili. E per difendersi, Israele deve quindi mantenere una presenza a lungo termine militare israeliana nelle aree critiche e strategiche in Cisgiordania.
Ho spiegato al presidente Abbas. Egli rispose che se uno Stato palestinese doveva essere un paese sovrano, che non avrebbe mai potuto accettare tali disposizioni.
Perché no? L'America ha avuto truppe in Giappone, Germania e Corea del Sud per più di mezzo secolo. La Gran Bretagna ha avuto uno spazio aereo a Cipro e una base aerea a Cipro. La Francia ha le forze in tre nazioni indipendenti africane.
Nessuno di questi paesi sostiene che non sono sovrani. E ci sono molte altre questioni di sicurezza vitale che devono anche essere affrontate.
Prendete la questione dello spazio aereo. Ancora una volta, per Israele le piccole dimensioni creano problemi di sicurezza enorme.
L'America può essere attraversata da aereo a reazione in sei ore. Per volare in tutta Israele, ci vogliono tre minuti.
È così piccolo lo spazio aereo di Israele da poter essere tagliato a metà e dato a uno stato palestinese non in pace con Israele?
Il nostro grande aeroporto internazionale è a pochi chilometri dalla Cisgiordania. Senza pace, i nostri aerei potrebbero essere bersagli per missili antiaerei piazzati nello stato adiacente palestinese?
E come potremo fermare il contrabbando nella West Bank? Non è solo la Cisgiordania, è la montagna Cisgiordania. Domina appunto la pianura costiera dove vive la maggior parte della popolazione di Israele.
Come possiamo impedire il contrabbando in queste montagne di quei missili che potrebbero essere lanciati contro le nostre città?
Pongo in evidenza questi problemi perché non sono problemi teorici. Sono molto reali. E per gli israeliani, sono questioni di vita o di morte.
Tutte queste crepe potenziale in sicurezza di Israele devono essere sigillate in un accordo di pace prima che venga sancito uno stato palestinese, non dopo, perché se si lasciano in seguito, non avranno valore.
E questi problemi ci esploderanno in faccia demolendo la pace.
I palestinesi devono prima fare la pace con Israele e quindi ottenere il loro stato.
Ma voglio anche dirvi questo. Dopo un accordo di pace firmato, Israele non sarà l'ultimo paese ad accogliere uno stato palestinese come nuovo membro delle Nazioni Unite.
Sarà il primo. E c'è un'altra cosa. Hamas ha violato il diritto internazionale, tenendo il nostro soldato Gilad Shalit, prigioniero per cinque anni.
Non hanno concesso una visita della Croce Rossa.
E' tenuto in una prigione, nelle tenebre, contro tutte le norme internazionali. Gilad Shalit è il figlio di Aviva e Noam Shalit. Egli è il nipote di Zvi Shalit, che è sfuggitoto all'Olocausto venendo nel 1930 ragazzo nella terra di Israele.
Gilad Shalit è il figlio di ogni famiglia israeliana.
Ogni nazione rappresentata qui dovrebbe chiedere il suo rilascio immediato.
Se si vuole - se si vuole approvare una risoluzione sul Medio Oriente oggi,- è questa la risoluzione che dovrebbe passare.
Signore e signori, l'anno scorso in Israele nella Bar-Ilan University, quest'anno alla Knesset e al Congresso degli Stati Uniti, io esposi la mia visione per la pace in cui uno Stato palestinese smilitarizzato riconosce lo Stato ebraico.
Sì, lo Stato ebraico.
Dopo tutto, questo è la sede che ha riconosciuto lo Stato ebraico 64 anni fa. Ora, non pensate che sia giunto il momento che i palestinesi facciano lo stesso?
Lo stato ebraico di Israele tutelerà sempre i diritti di tutte le sue minoranze, compresi il milione e più di cittadini arabi.
Vorrei poter dire la stessa cosa di un futuro Stato palestinese, ma per i funzionari palestinesi, l' hanno chiarito proprio qui a New York - hanno detto che lo stato palestinese non accoglierà nessun Ebreo.
Sarà Ebreo-free - Judenrein. Questa è pulizia etnica.
Ci sono leggi oggi a Ramallah che considerano la vendita di terre agli ebrei punibile con la morte. Questo è razzismo.
E sapete quali leggi ci ricorda ?
Israele non ha alcuna intenzione di cambiare il carattere democratico del nostro Stato. Noi semplicemente non vogliono che i palestinesi tentino cercare di cambiare il carattere ebraico del nostro stato. (Applausi)
Noi ci opporremo alla ipotesi di distruggere di Israele con milioni di palestinesi. Il Presidente Abbas se ne stava qui ieri, e mi ha detto che il cuore del conflitto israelo-palestinese sono gli insediamenti.
Beh, questo è strano. Il nostro conflitto infuriava per quasi mezzo secolo prima che ci fosse un unico insediamento israeliano in Cisgiordania.
Quindi, se ciò che il presidente Abbas sta dicendo era vero, allora credo che gli insediamenti di cui stava parlando sono Tel Aviv, Haifa, Jaffa, Be'er Sheva. Forse è questo che voleva dire l'altro giorno quando ha detto che Israele occupa la terra palestinese da 63 anni.
Non ha detto, dal 1967, ha detto dal 1948.
Spero che qualcuno si preoccupi di porgli questa domanda, perché illustra una semplice verità: Il nucleo del conflitto non sono gli insediamenti.
Gli insediamenti sono il risultato del conflitto.
Gli insediamenti sono un problema che deve essere affrontata e risolto nel corso dei negoziati.
Ma il cuore del conflitto è sempre stato e rimane, purtroppo, il rifiuto dei palestinesi di riconoscere uno Stato ebraico non importa con quale confine. Penso che sia tempo che la leadership palestinese riconosca ciò che ogni leader serio internazionale ha riconosciuto, da Lord Balfour e Lloyd George nel 1917, al presidente Truman nel 1948, per il presidente Obama appena due giorni fa proprio qui: Israele è lo Stato ebraico.
Presidente Abbas, la smetta di girare intorno a questo problema.
Riconosca lo stato ebraico, e faccia la pace con noi.
In tale vera pace, Israele è pronto a scendere a compromessi dolorosi. Siamo convinti che i palestinesi non devono essere né cittadini di Israele né suoi sudditi. Essi devono vivere in un loro stato libero.
Ma devono essere pronti, come noi, ali compromesso. E noi sappiamo che saranno pronti per il compromesso e per la pace quando si inizierà a prendere sul serio il punto sui requisiti di sicurezza di Israele e quando smetteranno di negare il nostro legame storico per la nostra antica patria.
Sento spesso che accusano Israele di giudaizzare Gerusalemme. E 'come accusare l'America di americanizzare Washington o gli inglesi di inglesizzare Londra.
Sa perché siamo chiamati "giudei"? Perché veniamo dalla Giudea.
Nel mio ufficio a Gerusalemme, c'è un antico sigillo. E 'un anello con sigillo di un funzionario ebreo dal tempo della Bibbia. Il sigillo è stato trovato proprio vicino al Muro del Pianto, e risale a 2.700 anni, al tempo del re Ezechia.
Ora, c'è un nome del funzionario ebraico scritto sull'anello in ebraico. Il suo nome era Netanyahu. Questo è il mio cognome.
Il mio primo nome, Benjamin, risale a mille anni prima di Benjamin - Binyamin - figlio di Giacobbe, che era anche conosciuto come Israele.
Giacobbe e i suoi 12 figli hanno vagato su queste stesse colline della Giudea e della Samaria 4.000 anni fa, e c'è stata una continua presenza ebraica nella terra da allora.
E per quegli ebrei che sono stati esiliati dalla nostra terra, non hanno mai smesso di sognare il ritorno: ebrei in Spagna, alla vigilia della loro espulsione, gli ebrei in Ucraina, in fuga dal pogrom, gli ebrei del ghetto di Varsavia combattendo, con i nazisti che li accerchiavano.
Non hanno mai smesso di pregare, non hanno mai smesso di provare nostalgia. Sussurravano: l'anno prossimo a Gerusalemme. L'anno prossimo nella terra promessa.
Come il primo ministro di Israele, io parlo per un centinaio di generazioni di ebrei che erano dispersi per il mondo, che hanno sofferto ogni male, ma che non hanno mai abbandonato la speranza di ripristinare la loro vita nazionale nel solo ed unico stato ebraico.
Signore e signori, io continuo a sperare che il presidente Abbas sarà il mio partner per la pace. Ho lavorato duramente per far avanzare la pace.
Il giorno in cui sono divento primo ministro, ho chiesto negoziati diretti senza precondizioni.
Il presidente Abbas non ha risposto. Ho delineato una visione di pace di due stati per due popoli. Lui ancora non ha risposto.
Ho rimosso centinaia di blocchi stradali e posti di blocco, per facilitare la libertà di circolazione nelle aree palestinesi, facilitando una crescita fantastica per l'economia palestinese.
Ma ancora una volta - nessuna risposta. Ho preso l'iniziativa senza precedenti di bloccare la costruzione di nuovi edifici nelle colonie per 10 mesi.
Cosa che nessun primo ministro ha mai fatto precedentemente .
Ancora una volta, non c'è stata risposta. Nessuna risposta.
Nelle ultime settimane, i funzionari americani hanno proposto iniziative per riavviare i colloqui di pace. Ci sono state ipotesi sui confini che non mi piacevano.
C'erano cose circa lo stato ebraico che sono sicuro che ai palestinesi non piacevano. Ma con tutte le mie riserve, ero disposto ad andare avanti su queste proposte americane.
Presidente Abbas, perché ne parliamo insieme? Dobbiamo continuare i negoziati. Dobbiamo andare avanti. Negoziamo per la pace.
Ho passato anni a difendere Israele sul campo di battaglia. Ho trascorso decenni a difendere Israele di fronte all' opinione pubblica.
Presidente Abbas, hai dedicato la tua vita a favore della causa palestinese. Questo conflitto deve continuare per generazioni, o permetterà ai nostri figli ai nostri nipoti di parlare negli anni a venire di come abbiamo trovato un modo per porvi fine?
Questo è quello cui dobbiamo puntare, e questo è quello che credo che possiamo ottenere.
In due anni e mezzo, ci siamo incontrati a Gerusalemme una sola volta, anche se la mia porta è sempre stata aperta.
Se lo desidera, verrò a Ramallah.
In realtà, ho un suggerimento migliore. Entrambi abbiamo appena volato per migliaia di chilometri a New York. Ora siamo nella stessa città. Siamo nello stesso edificio. Quindi cerchiamo di incontrarci qui oggi alle Nazioni Unite.
Chi vuole fermarci? Cosa c'è che può fermarci? Se vogliamo veramente la pace, cosa c’è ad impedire un incontro oggi e l’inizio dei negoziati di pace?
Parliamo apertamente e onestamente.
Ascoltiamoci l'un l'altro. Facciamo come diciamo noi in Medio Oriente: Parliamo di "doogri". Ciò significa, semplicemente, ti dirò le mie esigenze e le preoccupazioni.Tu mi dirai le tue.
E con l'aiuto di Dio, troveremo un terreno comune di pace.
C'è un vecchio detto arabo che dice: non si può applaudire con una mano. Ebbene, lo stesso vale per la pace. Non riesco a fare la pace da solo.
Non posso fare la pace senza di te.
Presidente Abbas, porgo la mia mano - la mano di Israele - in pace.
Spero che stringerà questa mano.
Siamo entrambi figli di Abramo.
La mia gente lo chiama Avraham.
La tua gente lo chiama Ibrahim.
Condividiamo lo stesso patriarca. Viviamo nella stessa terra. I nostri destini si intrecciano. Cerchiamo di realizzare la visione di Isaia - (parla in ebraico) - "Il popolo che cammina nelle tenebre vedrà una grande luce".
Lasciate che sia la luce della pace.
(traduzione di Elio Calza)

http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=115&sez=120&id=41572

domenica 18 settembre 2011

Israele, la via della pace è palestinese

18/9/2011

ARRIGO LEVI

E così Israele, l’Israele di Netanyahu, degli immigrati russi e degli ultraortodossi, sta riuscendo a isolarsi, come non era più stato da decenni, nella regione cui inesorabilmente appartiene, per ragioni di storia e di memorie, ma dove è visto come un ultimo residuo di colonialismo europeo, testimonianza inaccettabile del declino storico della civiltà araba.
Per quello che è il terzo Stato ebraico della storia si pone ancora il problema della sopravvivenza.

Per quanto irrealistica appaia questa ipotesi quando si visitano le fiorenti città e campagne dello Stato ebraico. Sognavano i profeti che venisse il giorno in cui la via della pace universale corresse dall’Egitto alla Babilonia passando per Gerusalemme: in questa come in poche altre regioni la storia sembra ripetersi a distanza di millenni.

Ma, si dirà, non è con i palestinesi, e soltanto con i palestinesi, che Israele deve far pace per essere da tutti accettato? La risposta è un po’ meno sicura di quanto appaia. Avevamo tutti accolto con sollievo quando, dopo i grandi moti rivoluzionari in Tunisia e in Egitto, ci era stato assicurato, non senza qualche sorpresa, che non si erano ascoltati slogan e grida contro Israele. L’assalto feroce all’ambasciata d’Israele al Cairo è stata una brutale smentita a quelle ottimistiche rassicurazioni. Riconosciamo la realtà: lo Stato ebraico, per pregiudizi nuovi ed antichi, è ancora visto con odio dalle masse egiziane, e non solo da loro.

Ma ci è stato subito assicurato che i militari egiziani non avrebbero assolutamente rimesso in discussione il trattato di pace con Israele. Ora ci si dice invece dal Cairo che sono possibili cambiamenti. E intanto la gran maggioranza dei Paesi del mondo sta per proclamare all’Onu la propria convinzione che i palestinesi abbiano diritto a un loro Stato, e Israele e l’America non sembrano fino a questo momento capaci di far buon viso a cattivo gioco. Dopodiché, quale che sia la formulazione del pensiero dell’assemblea, ci si attendono assalti o sfide alle frontiere d’Israele, col rischio di incidenti capaci perfino di avere ripercussioni all’interno dello Stato ebraico nella minoranza araba.

La maggioranza che oggi governa lo Stato d’Israele riconosce in linea di principio che «uno Stato palestinese dev’essere stabilito», come ha assicurato Dan Meridor a Francesca Paci; e questo è un notevole progresso. Ma in attesa che un giorno, chissà quando, ciò accada, Israele non intende porre fine all’ampliamento delle colonie ebraiche, perché sarebbe «irrealistico» impedire a chicchessia di «comprar casa solo perché è ebreo». Non è bastato che ciò fosse stato proibito con una moratoria di dieci mesi? No, non è bastato.

Eppure Israele ha lasciato la striscia di Gaza e richiamato con la forza in patria gli israeliani che vi risiedevano. Questo non appariva «irrealistico» nell’interesse superiore dello Stato. Ma Israele oggi appare paralizzato dai suoi timori, di fronte a una «rivoluzione araba» di cui vede soltanto, non a torto, la pericolosità. E così, le prospettive di un nuovo negoziato sembrano sfumare in un futuro incerto e lontano. Chiedendosi se ce la farà questa generazione a fare la pace, un osservatore mite ed equilibrato come Antonio Ferrari si risponde: è «più che lecito dubitarne».

Ammettiamolo: far pace con i palestinesi può non bastare per far pace con tutti gli arabi. Per questo più lontano obiettivo occorrerà forse lasciar passare generazioni. Ma è pur sempre sotto le forche caudine palestinesi che Israele dovrà passare per fare pace con tutti: ed è solo su questo fronte che la diplomazia d’Israele può agire per far sì che Israele non rimanga così tremendamente solo nella terra che qualche millennio fa fu irrevocabilmente promessa agli ebrei; ma fu anche ripetutamente negata. È in questa direzione che la straordinaria forza spirituale del popolo che dopo una millenaria dispersione ha ridato vita a uno Stato ebraico potrebbe e dovrebbe indirizzarsi.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9213

sabato 17 settembre 2011

“L’Onu aiuti Netanyahu e Abbas”. L’appello dell’ex ministro israeliano

Netanyahu non è pronto per un accordo definitivo, ma l’Onu può aiutarlo. E’ la convinzione di un insider israeliano e politico di vecchia data, in merito alla scottante questione del riconoscimento di uno Stato palestinese. Ex ministro ed ex negoziatore per la pace, Yossi Beilin sostiene che l’unica strada praticabile sia oggi un rapido ritorno ai negoziati. Fondamentale, dice, è però proprio l’intervento delle Nazioni Unite. “No a una risoluzione punitiva per Israele – la sua posizione – sì, invece, a un testo che avvicini le parti e ponga le basi per un compromesso”. Subito uno stato Palestinese dai confini provvisori e poi un rapido ritorno alle trattative in vista di un accordo definitivo, la personale road map che suggerisce a Ramallah e Tel Aviv dai microfoni di euronews.

Seamus Kearney, euronews

“Quale è l’atteggiamento del suo paese nei confronti di questa risoluzione dell’Onu? Non parlo solo del governo, ma anche della popolazione…”.

Yossi Beilin

“Certo non è facile riassumere lo stato d’animo di un’intera nazione. Direi però che l’atteggiamento dominante è la preoccupazione. Il sentimento generale è che qualcosa di negativo potrebbe davvero accadere. Il Ministro della difesa, Ehud Barak, aveva detto che a settembre avrebbe potuto verificarsi uno tsunami. E la gente comincia ora a capire che il riconoscimento di uno stato palestinese non è una questione a sé, ma è profondamente legata a quanto sta accadendo attorno a noi: i rapporti con l’Egitto, quelli con la Turchia, il risentimento che l’opinione pubblica ha in questo momento verso Israele…”.

euronews

“Lei chè in politica da molti anni, come ritiene che dovrebbe ora agire il governo israeliano?”.

Yossi Beilin

“Devo anzitutto ammettere di non capire per quale motivo il Primo ministro Netanyahu, lo scorso anno, ha rifiutato la richiesta di Obama di congelare gli insediamenti per due mesi, al fine di consentire i negoziati col presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas. Personalmente continuo a ritenere che il ritorno alle trattative sia l’unica opzione possibile. Non credo infatti che Netanyahu sia pronto per un accordo definitivo e non credo che sia pronto ad accettare le condizioni minime, richieste dall’attuale leadership palestinese. Allo stesso tempo, ho però anche l’impressione che quest’ultima non sia in grado di indurre alle trattative Hamas e la Striscia di Gaza. L’unica cosa ragionevole da fare, oggi, sarebbe quindi congelare gli insediamenti e negoziare in tempi brevi le prossime tappe della road map. Ovvero: uno Stato palestinese dai confini provvisori che a tempo debito, ma non certo oggi, conduca a un accordo definitivo. Se poi questa strada si rivelasse impraticabile, suggerirei allora di lavorare con attenzione al testo della risoluzione Onu. Fare cioè in modo che non risulti come una ‘punizione’ nei confronti di Israele, ma che delinei uno scenario favorevole ad entrambe le parti e si eriga a vero ‘ponte’, che avvicini israeliani e palestinesi a un accordo definitivo. Qualora il pronunciamento dell’Onu portasse a questo, potremmo allora davvero aprire ai negoziati, quanto meno per una soluzione provvisoria”.

euronews

“Gli Stati Uniti hanno annunciato il proprio veto a un ingresso palestinese nell’Onu. Come pensa che reagirebbe il governo israeliano, se l’Assemblea Generale si pronunciasse invece in tal senso?”.

Yossi Beilin

“La risoluzione gode oggi di una maggioranza schiacciante in seno all’Assemblea Generale. Non credo, quindi, che alla luce di questi equilibri il governo israeliano sia nelle condizioni di adottare misure punitive, procedere ad annessioni territoriali o altro… E’ vero che il capo della nostra diplomazia, il signor Lieberman, minaccia ritorsioni, ma spero che il nostro Primo ministro gli impedisca di passare ai fatti. Non credo che il governo disponga di un arsenale di misure da mettere in pratica in tal senso”.

http://it.euronews.net/2011/09/16/l-onu-aiuti-netanyahu-e-abbas-l-appello-dell-ex-ministro-israeliano/

martedì 13 settembre 2011

Al Cairo il telefono della giunta squilla a vuoto (e favorisce gli islamisti)

Ecco cosa è accaduto durante l’assalto dell’ambasciata di Israele in Egitto. Il ruolo di Obama e la visita di Erdogan



Il maggiore giornale egiziano, al Ahram, paragona l’assalto all’ambasciata d’Israele alla caduta del Muro di Berlino. Hamdeen Sabahi, candidato alla presidenza egiziana, esulta dicendo che “la bandiera sionista aveva inquinato l’aria egiziana per trent’anni”. Il quotidiano israeliano Israel Hayom lo chiama “l’esodo”: mai prima d’ora l’intero corpo diplomatico israeliano, ottanta persone fra ambasciatore, assistenti e guardie di sicurezza, era stato costretto ad abbandonare il Cairo.

La notizia politica più importante dell’assalto è che senza l’intervento del presidente americano Barack Obama ci sarebbe stata una strage di israeliani. Durante la crisi il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il ministro della Difesa, Ehud Barak, hanno tentato di telefonare al feldmaresciallo Mohammed Tantawi, l’ufficiale di grado più alto dopo la caduta di Mubarak, per farlo intervenire. La versione ufficiale dice che Tantawi “non si trovava”. La verità è che non ha accettato la telefonata israeliana. “Farò quello che posso”, ha detto Obama a Netanyahu, riuscendo a costringere gli egiziani a creare una via di fuga per gli israeliani. L’ex generale egiziano Sameh Seif ha detto che l’assalto è colpa della casta militare che governa il paese. E il sospetto che la giunta abbia lasciato mano libera ai manifestanti è forte.
Il governatore di Giza, dove sorge l’ambasciata, ha promesso alla folla che non costruirà un altro muro a protezione degli israeliani. La sicurezza attorno al diciottesimo piano era altissima. Non erano ammessi telefonini, c’erano metal detector, telecamere e guardie armate. Un protocollo voleva che gli israeliani, prima di abbandonare le proprie case diretti all’ambasciata, dovessero accertarsi di non essere seguiti e cambiare spesso il loro itinerario.

Alle cinque del pomeriggio di venerdì migliaia di egiziani si ritrovano in piazza Tahrir. L’ordine è di marciare sull’ambasciata israeliana. Giorni prima un influente leader religioso dei Fratelli musulmani, Salah Sultan, aveva emesso una fatwa che legittimava l’uccisione dell’ambasciatore, Yitzhak Levanon.

Salah Sultan aveva accusato l’ambasciata di “corrompere” i giovani con prodotti per capelli che ledono le capacità riproduttive. La vice Guida suprema della Fratellanza, Mahmoud Ezzat, aveva accusato il personale israeliano di essere “spie”. “Rappresentante sionista, vattene o muori”, recitava uno dei volantini distribuiti dalla Fratellanza davanti all’ambasciata.

Ieri, mentre arrivava al Cairo il premier turco Recep Tayyip Erdogan, un comunicato della potente confraternita islamica ha giustificato l’attacco, dicendo che l’assalto all’ambasciata è stata “una reazione legittima”. I Fratelli musulmani hanno chiesto una “revisione” del trattato di Camp David. “Israele dovrebbe aver capito il messaggio, l’Egitto è cambiato, la regione è cambiata”, si legge in un comunicato dei Fratelli musulmani. E ancora: “E’ stata una esplosione di sentimento nazionale nel cuore degli egiziani”. Venerdì sera dentro all’ambasciata, chiusa per Shabbat, c’erano sei guardie israeliane. Alle sei i manifestanti abbattono il muro di tre metri a difesa dell’edificio al grido di “Allah Akbar” e “Sinai Sinai”. A mezzanotte da Israele arriva l’ordine di evacuare il personale. I sei israeliani restano chiusi in una “stanza sicura” dell’ambasciata, dietro a una porta di ferro. Alcuni manifestanti riescono a entrare nell’ambasciata, rubano centinaia di documenti di proprietà d’Israele e strappano la bandiera ebraica. Da Gerusalemme Netanyahu, Barak e il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman seguono il raid dalle telecamere. Il capo del Mossad, Tamir Pardo, invia un Boeing 707 al Cairo per portare in salvo tutti. Gli israeliani fuggono indossando la kefiah. L’aereo decolla alle tre e atterra in Israele alle cinque del mattino di sabato. Oggi resta un solo israeliano nel paese, è il viceambasciatore Yisrael Tikochinsky-Nitzan, trasferito in una località “sicura”. Si sa che tre delle guardie rinchiuse nell’ambasciata hanno sparato in aria per allontanare gli egiziani saliti al diciottesimo piano. L’ordine era di “sparare per uccidere” nel caso gli egiziani avessero sfondato anche l’ultima porta. Il capo delle guardie, “Yonatan”, aveva già spedito un sms d’addio alla moglie: “Ti amo”. Quella predata venerdì scorso era stata la prima bandiera israeliana a sventolare in una capitale araba, dal 17 febbraio 1980.

di Giulio Meotti
http://www.ilfoglio.it/soloqui/10334

domenica 4 settembre 2011

Peres: la primavera araba ora dia libertà alle donne"

di Vincenzo Nigro

CERNOBBIO - «Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo nella rivolta in Libia, ma a pesare di più sono stati i 42 anni di oppressione del regime, non gli incitamenti degli estremisti islamici. Le rivoluzioni arabe sono già una grande promessa per il Medio Oriente. Ho fiducia nelle giovani generazioni. Il futuro è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche». A 88 anni Shimon Peres, il presidente di Israele, si muove al workshop di Cernobbio con la lentezza di un vecchio saggio, ma con la velocità intellettuale di un ragazzo che sa immaginare un nuovo mondo.

Presidente, alla fine di settembre l´Anp di Abu Mazen chiederà un voto all´assemblea Onu per riconoscere uno Stato palestinese. Potrebbero avere l´appoggio del mondo anche se sarà un voto simbolico.

«La posizione di Israele, del popolo, del suo governo, è che uno Stato palestinese dovrà sorgere. La questione non è più il "se", ma "come" si possa raggiungere l´obiettivo garantendo anche la sicurezza di un altro Stato che già esiste: Israele. Abbiamo avuto l´esperienza di Gaza, che una volta diventata indipendente si è trasformata in una base per lanciare attacchi contro Israele. Mi chiedo: con quel voto le Nazioni Unite possono garantire la sicurezza di Israele? L´Onu può fermare il lancio di missili su Israele? Può bloccare il contrabbando di armi dall´Iran, un Paese membro della stessa Onu?».

Si metta nei panni del leader palestinese Abu Mazen: lei non farebbe lo stesso? Non chiederebbe un voto all´Onu per sbloccare un negoziato paralizzato da anni?

«Non sono sicuro del risultato di quel voto. Ho paura che sarà una mera dichiarazione che rinvierà la possibilità di un negoziato vero. Certo, è passato molto tempo, ma la pace richiede tempo: essere impazienti e ottenere solo una dichiarazione non servirà a molto».

Sappiamo che, in accordo col governo Netanyahu, lei ha avuto contatti riservati con la dirigenza palestinese.

«La risposta alle domande di arabi e israeliani sarebbe avere colloqui bilaterali e diretti. Ne sto parlando con i palestinesi, non escludo la possibilità di un accordo diretto fra noi e loro. Lo dico chiaramente: la soluzione è andare a negoziati diretti».

Israele congelerà i fondi dell´Anp, bloccherete la collaborazione con i palestinesi dopo un eventuale voto Onu?

«Sui versamenti non ci sono problemi, c´è stato un breve blocco, c´era un dibattito interno al governo, ma quei soldi appartengono ai palestinesi e vanno versati a loro. Per il resto credo che dovremmo continuare a negoziare».

Un fattore essenziale è il supporto dell´opinione pubblica: la società politica israeliana sta cambiando. Crede che gli israeliani sosterranno la pace?

«Le rispondo con un paradosso: non so se la maggioranza sosterrà la pace, ma di sicuro la pace creerà una maggioranza. Se un primo ministro si presenterà con un progetto di pace, otterrà sostegno. I sondaggi non sono il verdetto finale: sono come i profumi, gradevoli da odorare, pericolosi da bere. Se ci sarà un vero progetto di pace, la pace verrà approvata».

Di fronte a voi, la "primavera" del mondo arabo. Per Israele la rivoluzione più delicata è stata quella in Egitto. Quale sarà il futuro dei rapporti con questo Paese cruciale per la vostra sicurezza?

«Queste rivoluzioni sono già una grande promessa per tutto il Medio Oriente. Per ora, però, abbiamo dei rivoluzionari, non una vera "Rivoluzione": non hanno leader, né un´ideologia, né piani. Hanno la forza dell´età. Le giovani generazioni vedono le cose in maniera differente, in tutto il mondo. Ma far funzionare la macchina del cambiamento non è semplice. Ci vorranno tempo, elezioni e passi successivi. Aggiungo una cosa: non si può cambiare una società se non vengono garantiti uguali diritti alle donne. Una volta il presidente Obama mi ha chiesto: «Chi sono i principali oppositori alla democrazia in Medio Oriente?». Gli ho risposto: i mariti, gli uomini. Non vogliono dare diritti alle donne. La loro libertà è essenziale per la libertà delle società».

Non crede che in Egitto la giunta militare sarà portata a cavalcare i sentimenti anti-israeliani? Arriverà a mettere in dubbio la pace con Israele?

«Non c´è una sola ragione di conflitto fra noi e l´Egitto. È stato il Paese più importante del Medio Oriente, e noi ci auguriamo che rimanga il Paese più solido e importante come l´abbiamo conosciuto. La pace fra noi e l´Egitto è un interesse comune: si fanno molte critiche a Mubarak, ma per 30 anni ha preservato la pace, ha salvato la vita di migliaia di egiziani e di israeliani».

C´è un altro Paese cruciale per voi, la Siria.


«Assad sta mantenendo il potere, ma ha completamente perso la testa. Non puoi rimanere al potere se non hai la testa a posto: ha già ucciso troppi fra i suoi cittadini, non è possibile cancellare quel che ha fatto. Ammiro il coraggio dei cittadini siriani: hanno protestato per mesi, sfidando il fuoco dei fucili, per difendere la loro dignità, la loro libertà. Avendo ordinato di assassinare così tanti cittadini, Assad ha ucciso anche il suo futuro. Credo che il regime abbia raggiunto la sua fine, è solo questione di tempo».

In Libia la scomparsa di Gheddafi potrebbe assegnare un ruolo importante a leader islamisti o jihadisti?

«Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo, ma il ruolo principale nella rivoluzione l´ha avuto Muammar Gheddafi. La rivolta del popolo libico è stata creata da Gheddafi, per i 42 anni della sua oppressione, non dagli incitamenti dei jihadisti. Ha trattato un Paese come una sua proprietà privata, difesa con violenza disumana».

Crede che in Libia la "buona politica" riuscirà a limitare il ruolo di jihadisti e terroristi?

«Io spero di sì, ma le dico una cosa: già il regime di Gheddafi era un regime estremista, terrorista. Hanno fatto attentati, hanno abbattuto aerei carichi di passeggeri innocenti, pensi a Lockerbie. Non dobbiamo dimenticarlo. Il futuro è davanti a noi: non ho mai ceduto alla previsione dello scontro fra civiltà; c´è invece uno scontro fra generazioni, ovunque nel mondo. Io ho fiducia nelle nuove generazioni. Il futuro è globale, è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche. Il problema del Medio Oriente è il cibo, il benessere, la vita dei cittadini. La jihad può rispondere a questi problemi? Si possono mangiare i proiettili a colazione? Non credo, le risposte possono offrircele solo politiche corrette di sviluppo economico. Per questo vengo a Cernobbio, a un convegno in cui ogni volta sento parlare di economia, di sviluppo: questo è lo strumento migliore per la pace. Negoziare per favorire lo sviluppo dei popoli».

Repubblica del 04/09/2011