giovedì 4 marzo 2010

La forza di Israele è necessaria per la pace

di Alexander Yakobson

Ci sono domande che sarebbe meglio non fare. Una volta fatte, però, non si possono più eludere.
In un articolo pubblicato su Ha’aretz lo scorso 21 febbraio, Dmitry Shumsky si domanda cosa accadrebbe alla popolazione ebraica d’Israele se Israele venisse sconfitto e conquistato da una coalizione arabo-iraniana. E risponde descrivendo uno scenario simile a quello dell’occupazione israeliana nei territori: amministrazione militare, posti di blocco, ordinamenti d’emergenza, repressione della resistenza del popolo occupato. In questo modo Shumsky vorrebbe sollecitare i suoi lettori israeliani ad immedesimarsi con le sofferenze dei palestinesi sotto occupazione, affinché comprendano come mai i palestinesi guardano con tanto rancore alla deprivazione della loro indipendenza nazionale.
In realtà, per comprendere il naturale desiderio d’indipendenza dei palestinesi e la loro rabbia verso l’occupazione non occorre affatto avventurarsi in arditi esercizi intellettuali. Tutte le ricerche mostrano che una larga maggioranza del pubblico ebraico israeliano condivide l’idea che debba essere creato uno stato palestinese nel quadro di un accordo di pace. In un sondaggio, più del 60% degli intervistati ha affermato di considerare la richiesta d’indipendenza palestinese perfettamente legittima. Ma un’analoga maggioranza afferma anche di non credere che i palestinesi permetterebbero a Israele di vivere in pace dopo che avessero ottenuto il loro stato indipendente.
Dunque coloro che predicano all’opinione pubblica israeliana nel suo complesso (in quanto distinta dalla destra ideologica) continuano a insistere nel tentativo di convincerla di qualcosa di cui è già convinta da tempo: che i palestinesi hanno diritto a un loro stato. E continuano a ignorare, invece, la questione che preoccupa davvero quell’opinione pubblica: e cioè se gli israeliani, una volta ritirati dai territori, riceveranno in cambio una ragionevole misura di pace. C’è da dubitare che questa opera di “persuasione” contribuisca minimamente alle chance di raggiungere un accordo e di porre fine all’occupazione.
Per quanto riguarda, poi, la questione di cosa c’è da aspettarsi in caso di sconfitta, ebbene: se mai esiste un modo per garantire che il pubblico israeliano non si identifichi affatto con le sofferenze dei palestinesi, è proprio quello di spingerlo a concentrarsi su questo interrogativo. Tutti coloro che vivono qui sanno benissimo che cosa toccherebbe in sorte agli israeliani in caso di sconfitta: certo non un’occupazione con posti di blocco e insediamenti o leggi d’emergenza, bensì un totale massacro.
Non c’è modo di verificare se questa previsione sia corretta, e speriamo di non doverla mai verificare nei fatti. Ma in ogni caso, non ci si può aspettare che gli ebrei israeliani – come qualunque altro popolo in una situazione analoga – pensi nulla di diverso. È un crudo dato di fatto che numerosissime guerre interne del mondo arabo, nel corso degli ultimi decenni, sono state accompagnate da stragi generalizzate di civili. E se questa è la sorte che devono attendersi arabi e musulmani per mano di altri arabi e musulmani, inevitabilmente l’israeliano medio si domanda: cosa capiterebbe alla “entità aliena” sionista? Giacché gli ebrei israeliani sanno bene che i loro vicini non li considerano un elemento legittimo in Medio Oriente, quanto piuttosto degli invasori colonialisti. Nemmeno Saddam Hussein considerava i curdi iracheni a questa stregua, eppure li ha trattati come li ha trattati. Stando così le cose, gli ebrei d’Israele semplicemente non possono supporre che una sconfitta porterebbe loro niente di diverso.
Pertanto, chiunque voglia contribuire alla pace farebbe meglio ad evitare di spingere gli israeliani a considerare possibili scenari di sconfitta, spiegando piuttosto che quegli scenari non sono realistici grazie alla forza di Israele: una forza che gli può permettere, fra l’altro, di correre dei rischi per un accordo di pace.
Finché questa forza è garantita, e a condizione che essa venga garantita, non c’è bisogno di approfondire cosa accadrebbe in caso di sconfitta. Basta farci solo un pensierino di tanto in tanto.

(Da: Ha’aretz, 02/03/2010)
http://www.israele.net/articolo,2763.htm

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