La minaccia del terrorismo internazionale connota l'attuale fase di trasformazione del sistema politico internazionale. Una ricostruzione delle vicende storico-politiche che hanno scosso l'intero pianeta. Da una parte lo Stato d'Israele e dall'altra la nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese, dietro l'affermarsi del terrorismo.
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martedì 18 gennaio 2011
Libano, Hezbollah incriminato per omicidio di Hariri: ora tutto può succedere
Imprevedibile ciò che potrebbe accadere con la presentazione dell'atto di accusa. Intanto, girano voci e smentite di raduni dei sostenitori di Hezbollah
In un'analisi fornita da una fonte di Hezbollah al quotidiano "As-Sharq al-Awsat", si descrive l'impossibità di individuare quale sarà lo scenario socio-politico libanese conseguente all'emissione dell'atto d'incriminazione, da parte del Tribunale Speciale del paese, sull'assassinio dell'ex premier Rafiq Hariri, avvenuto nel 2005.
Intanto, sui media nazionali girano voci e smentite su possibili raduni, avvenuti a Beirut, dei sostenitori libanesi delle Forze dell'8 Marzo, coalizione guidata da Hezbollah. La testata "An Nahar", ha riportato le parole di una fonte delle forze dell'ordine locali, a raggrupparsi in strada per primi sarebbero stati gli elettori di Amal, il partito dello sciita Nabih Berri, presidente del Parlamento. Decine di persone avrebbero affollato i quartieri di Basta, Nweri, Beshara Khury, Ras al-Nabeh, Zaqaq al-Blat, Tayuneh, Salim Slam e Uzai.
Ma Ali Khreiss, un parlamentare vicino ad Amal, ha smentito le ipotesi di proteste di piazza da parte delle Forze dell'8 Marzo, spiegando, alla radio "Voce del Libano", non c'è alcuna decisione di scendere in strada nonostante l'entità della cospirazione", riferendosi alle indiscrezioni che imputano a Hezbollah la responsabilità dell'omicidio di Rafiq Hariri. Molte scuole sono rimaste chiuse per timore di un'esacerbazione della tensione.
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18/01/2011versione stampabilestampainvia paginainvia
Libano, Hezbollah incriminato per omicidio di Hariri: ora tutto può succedere
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mercoledì 12 gennaio 2011
In Libano è crisi di governo. 10 ministri di Hezbollah si dimettono contro la sentenza sull'omicidio Hariri.
Il governo di unità nazionale in Libano è in crisi. Dieci ministri di Hezbollah si sono dimessi nel giorno in cui il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, riceve alla Casa Bianca il primo ministro libanese, Saad Hariri, per discutere, tra l'altro, dell'inchiesta internazionale sulla morte del padre di Saad, Rafik, ucciso nel 2005 in un attentato. Il verdetto del Tribunale speciale per il Libano dovrebbe arrivare a breve e la condanna del "Partito di Dio" è altamente probabile. Per questo i ministri di Hezbollah hanno abbandonato l'esecutivo.
Hezbollah lascia governo
Dieci ministri dell'opposizione libanese guidata dal movimento sciita Hezbollah hanno presentato poco fa le dimissioni, aprendo così ufficialmente la crisi del governo di unità nazionale del premier Saad Hariri. L'annuncio, in diretta televisiva, è stato dato da uno dei ministri dimissionari, mentre il premier Saad Hariri arrivava alla Casa Bianca a Washington per un incontro con il presidente Barack Obama.
L'apertura di una crisi di governo (che conta 30 ministri) era già nell'aria ieri sera, quando esponenti dell'opposizione avevano affermato che l'iniziativa avviata a luglio da Siria e Arabia Saudita per superare lo stallo politico in Libano «è giunta ad un punto morto».
Uno stallo provocato dal braccio di ferro con il movimento Hezbollah sulla richiesta al premier Hariri di interrompere la collaborazione con il Tribunale speciale per il Libano (Tsl) che indaga sull'assassinio nel 2005 dell'ex premier Rafik Hariri.
Il Tsl ha sede in Olanda ed è presieduto dal giudice italiano Antonio Cassese, e prevedibilmente nelle prossime settimane dovrebbe giungere all'incriminazione di alcuni membri dello stesso Hezbollah. Questa mattina, i ministri dell'opposizione avevano esplicitamente minacciato di dimettersi se non fosse stata accolta la loro richiesta di convocare una riunione dell' esecutivo per prendere una decisione relativa proprio alla questione del Tribunale internazionale, che Hezbollah definisce «un progetto israeliano» per screditarlo.
L'Iran non riconosce verdetto
Sayyed Nasrallah, leader del partito radicale sciita, ha aggiunto che non permetterà nessun arresto dei membri della sua organizzazione. Anche l'Iran nelle scorse settimane è sceso in campo a fianco degli Hezbollah: l'ayatollah Khamenei ha affermato che il verdetto del tribunale Onu sarà «nullo e privo di valore». Malgrado il pressing di Hezbollah il premier Saad Hariri ha rifiutato di disconoscere il Tribunale speciale. Di qui la minaccia di aprire una crisi politica, giunta oggi da Hezbollah.
Obama sostiene Hariri jr.
I rischi della situazione libanese verranno discussi oggi nell'incontro alla Casa Bianca. Obama «incontrerà oggi il primo ministro Hariri per parlare del sostegno Usa alla sovranità, indipendenza e stabilità del Libano», ha spiegato il portavoce Robert Gibbs. Il presidente americano ha discusso per telefono della crisi libanese anche con il re saudita Abdallah, che si trova a New York dove è stato sottoposto recentemente a un'operazione chirurgica.
Analoghi colloqui si sono svolti tra il primo ministro Hariri e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, la quale si è definita «fortemente preoccupata per gli attuali tentativi di destabilizzare il Libano».
http://www.ilsole24ore.com/art/notiz...?uuid=AYaQKCzC
Hezbollah lascia governo
Dieci ministri dell'opposizione libanese guidata dal movimento sciita Hezbollah hanno presentato poco fa le dimissioni, aprendo così ufficialmente la crisi del governo di unità nazionale del premier Saad Hariri. L'annuncio, in diretta televisiva, è stato dato da uno dei ministri dimissionari, mentre il premier Saad Hariri arrivava alla Casa Bianca a Washington per un incontro con il presidente Barack Obama.
L'apertura di una crisi di governo (che conta 30 ministri) era già nell'aria ieri sera, quando esponenti dell'opposizione avevano affermato che l'iniziativa avviata a luglio da Siria e Arabia Saudita per superare lo stallo politico in Libano «è giunta ad un punto morto».
Uno stallo provocato dal braccio di ferro con il movimento Hezbollah sulla richiesta al premier Hariri di interrompere la collaborazione con il Tribunale speciale per il Libano (Tsl) che indaga sull'assassinio nel 2005 dell'ex premier Rafik Hariri.
Il Tsl ha sede in Olanda ed è presieduto dal giudice italiano Antonio Cassese, e prevedibilmente nelle prossime settimane dovrebbe giungere all'incriminazione di alcuni membri dello stesso Hezbollah. Questa mattina, i ministri dell'opposizione avevano esplicitamente minacciato di dimettersi se non fosse stata accolta la loro richiesta di convocare una riunione dell' esecutivo per prendere una decisione relativa proprio alla questione del Tribunale internazionale, che Hezbollah definisce «un progetto israeliano» per screditarlo.
L'Iran non riconosce verdetto
Sayyed Nasrallah, leader del partito radicale sciita, ha aggiunto che non permetterà nessun arresto dei membri della sua organizzazione. Anche l'Iran nelle scorse settimane è sceso in campo a fianco degli Hezbollah: l'ayatollah Khamenei ha affermato che il verdetto del tribunale Onu sarà «nullo e privo di valore». Malgrado il pressing di Hezbollah il premier Saad Hariri ha rifiutato di disconoscere il Tribunale speciale. Di qui la minaccia di aprire una crisi politica, giunta oggi da Hezbollah.
Obama sostiene Hariri jr.
I rischi della situazione libanese verranno discussi oggi nell'incontro alla Casa Bianca. Obama «incontrerà oggi il primo ministro Hariri per parlare del sostegno Usa alla sovranità, indipendenza e stabilità del Libano», ha spiegato il portavoce Robert Gibbs. Il presidente americano ha discusso per telefono della crisi libanese anche con il re saudita Abdallah, che si trova a New York dove è stato sottoposto recentemente a un'operazione chirurgica.
Analoghi colloqui si sono svolti tra il primo ministro Hariri e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, la quale si è definita «fortemente preoccupata per gli attuali tentativi di destabilizzare il Libano».
http://www.ilsole24ore.com/art/notiz...?uuid=AYaQKCzC
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domenica 28 novembre 2010
Incertezza in Siria, in Libano e nei paesi del Golfo per i preparativi alla successione in Arabia Saudita
Le cattive condizioni di salute del re saudita Abdullah, attualmente in cura negli Stati Uniti, e del principe ereditario Sultan bin Abdul Aziz, aprono la competizione per la successione all’interno della famiglia reale; ciò potrebbe avere delle conseguenze a livello regionale, e soprattutto in Libano dove gli sforzi siro-sauditi cercano di impedire una nuova esplosione di violenza nel paese
***
C’è attesa nelle capitali arabe e internazionali per i possibili sviluppi in Arabia Saudita in conseguenza del viaggio compiuto dal monarca saudita, re Abdullah bin Abdul Aziz, a New York per ricevere delle cure a causa di alcuni problemi di salute.
L’indisposizione dell’ottantaseienne monarca saudita, accompagnata dalla malattia del suo erede al trono, anch’egli ottuagenario, ripropone la questione della successione nel regno, e della distribuzione delle più alte e importanti cariche – le quali controllano la grandiosa ricchezza del paese, le sue politiche sociali, i religiosi più influenti e le forze armate – e di come ciò condizionerà le relazioni del regno, che ha una grande influenza politica nella regione, sugli avvenimenti e sugli sviluppi del Medio Oriente.
Gli sforzi siro-sauditi stanno compiendo una corsa contro il tempo per contenere le conseguenze dell’atteso rinvio a giudizio che il tribunale internazionale incaricato del dossier dell’assassinio del primo ministro libanese Rafiq Hariri dovrebbe emettere a breve, secondo tutte le aspettative.
Ma, mentre non è ancora arrivato l’inviato saudita (il principe Abdul Aziz bin Abdullah, che accompagna suo padre nel proprio viaggio di cura) il quale avrebbe dovuto incontrare la leadership siriana per discutere il piano d’azione da rendere effettivo prima del rinvio a giudizio, ambienti siriani hanno confermato che è cresciuta enormemente l’attesa di conoscere l’andamento degli affari interni sauditi, relativamente alla distribuzione delle posizioni di governo ed alla competizione tra i membri della famiglia reale, nelle sue due componenti della prima e seconda generazione.
Questi ambienti sono arrivati a dire che: “La stabilità del regno è la cosa migliore in questa fase, soprattutto in relazione al coordinamento siro-saudita”.
In un analogo contesto, osservatori a Damasco ritengono che il “ventilato” ritorno del principe Bandar bin Sultan ad una posizione di primo piano nella struttura del potere saudita (dopo un suo completo allontanamento, che era arrivato ai limiti della scomparsa definitiva) potrebbe non essere opportuno in questo preciso momento.
Tali osservatori sembrano temere le imprevedibili conseguenze del ritorno di Bandar, le quali potrebbero gettare un’ombra sul progresso degli sforzi compiuti in relazione al dossier libanese. Questi ambienti precisano tuttavia che il ritorno di Bandar bin Sultan è una faccenda che riguarda la famiglia saudita.
Gli esperti ritengono che la monarchia saudita stia vivendo attualmente una fase delicata a causa della malattia del re e dell’erede al trono, e a causa delle aspirazioni dei giovani principi, che ritengono di dover cogliere l’occasione per partecipare alla guida del governo. Il principe Bandar bin Sultan bin Abdul Aziz – segretario generale del Consiglio per la sicurezza nazionale – era arrivato a Riyadh dall’estero, ed era stato ricevuto in aeroporto dal principe Muqrin bin Abdul Aziz, capo dei servizi segreti, e da un gruppo di importanti principi dell’Arabia Saudita. E’ stato riferito che Bandar bin Sultan avrebbe giocato un ruolo di primo piano nel deterioramento delle relazioni tra Damasco e Riyadh all’indomani dell’assassinio di Hariri, e negli anni successivi.
Le parti libanesi fanno affidamento sui risultati della coordinamento siro-saudita per porre fine alla scottante crisi politica libanese, la quale potrebbe evolversi ulteriormente dopo l’emissione del rinvio a giudizio da parte del tribunale internazionale, col rischio di conflitti confessionali nel caso in cui il rinvio a giudizio dovesse tradursi in un’incriminazione di Hezbollah.
Gli osservatori libanesi hanno sottolineato che il principe Abdul Aziz bin Abdullah – il figlio del re saudita incaricato dei contatti con la Siria e il Libano – è partito anch’egli per Washington per accompagnare suo padre. Il che significa che sarà necessario aspettare fino al loro ritorno – che potrebbe farsi attendere – per riprendere le consultazioni e i contatti sulla faccenda libanese.
Il regno arabo saudita sta vivendo una situazione di incertezza politica senza precedenti. L’assenza del re saudita e l’improvviso ritorno dell’erede al trono dal Marocco occupano i discorsi nei forum e negli incontri politici.
Facebook e Twitter hanno assistito a numerose discussioni e commenti su questa difficile fase della storia del regno, e su come riorganizzare il potere ed evitare lotte tra le fazioni rivali all’interno della famiglia.
Circola un articolo del dott. Mohammed Abdul Karim, professore di diritto religioso all’Università al-Imam, che parla della necessità che i cittadini prendano parte alla scelta di chi dovrà rappresentarli. Questo articolo è stato pubblicato su numerosi siti web.
Nel suo articolo Abdul Karim si domanda: “Se la famiglia regnante dovesse cadere a causa di fattori interni (lotte interne alla famiglia) o esterni, il destino del’unità e del popolo continuerà a dipendere da conflitti interni ed esterni, e dalla presenza o meno della famiglia reale?”.
Poi egli aggiunge: “Restituite valore al popolo, all’uguaglianza tra le sue componenti, ad una sua reale direzione dello stato, a vere consultazioni, ad un popolo reale, e non ad un popolo immaginario dall’unità apparente e puramente esteriore, esposto alla dissoluzione semplicemente a causa di divergenze all’interno del regime”.
Nel regno saudita molti si sono soffermati sugli annunci di felicitazioni pubblicati dalla maggior parte dei giornali sauditi in occasione del ritorno del principe Salman bin Abdul Aziz – governatore della regione di Riyadh – che ha subito ripreso le proprie funzioni ed ha ricevuto le persone che si congratulavano del suo ritorno. Alcuni hanno interpretato queste congratulazioni come una “campagna elettorale” che rispecchierebbe le aspirazioni del principe Salman ad assumere un incarico importante all’interno dello stato, che potrebbe essere la posizione di principe ereditario.
La situazione interna saudita, e la questione della successione in particolare, hanno avuto ripercussioni nella regione del Golfo, i cui abitanti aspettano con ansia la rappresentanza saudita al vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo che si terrà agli inizi del mese prossimo a Abu Dhabi.
Molti osservatori prevedono che a capo della delegazione saudita ci sarà il principe Nayef bin Abdul Aziz – il secondo vice primo ministro – a causa dell’assenza del re saudita e della malattia del principe Sultan bin Abdul Aziz, attuale erede al trono.
A meno che il principe Sultan non decida di essere a capo della delegazione nella seduta di apertura e per un breve periodo, per poi lasciare il vertice, consegnando la presidenza al principe Saud al-Faisal, attuale ministro degli esteri.
Un esperto di questioni saudite, residente nei paesi del Golfo, ha dichiarato ad “al Quds al-arabi” che, se il principe Nayef dovesse assumere la presidenza della delegazione, ciò significherebbe che la questione della successione è stata decisa e che egli sarà designato come erede al trono nel caso in cui questa posizione dovesse diventare vacante.
Kamal Saqr
http://www.medarabnews.com/2010/11/28/incertezza-in-siria-in-libano-e-nei-paesi-del-golfo-per-i-preparativi-alla-successione-in-arabia-saudita/
***
C’è attesa nelle capitali arabe e internazionali per i possibili sviluppi in Arabia Saudita in conseguenza del viaggio compiuto dal monarca saudita, re Abdullah bin Abdul Aziz, a New York per ricevere delle cure a causa di alcuni problemi di salute.
L’indisposizione dell’ottantaseienne monarca saudita, accompagnata dalla malattia del suo erede al trono, anch’egli ottuagenario, ripropone la questione della successione nel regno, e della distribuzione delle più alte e importanti cariche – le quali controllano la grandiosa ricchezza del paese, le sue politiche sociali, i religiosi più influenti e le forze armate – e di come ciò condizionerà le relazioni del regno, che ha una grande influenza politica nella regione, sugli avvenimenti e sugli sviluppi del Medio Oriente.
Gli sforzi siro-sauditi stanno compiendo una corsa contro il tempo per contenere le conseguenze dell’atteso rinvio a giudizio che il tribunale internazionale incaricato del dossier dell’assassinio del primo ministro libanese Rafiq Hariri dovrebbe emettere a breve, secondo tutte le aspettative.
Ma, mentre non è ancora arrivato l’inviato saudita (il principe Abdul Aziz bin Abdullah, che accompagna suo padre nel proprio viaggio di cura) il quale avrebbe dovuto incontrare la leadership siriana per discutere il piano d’azione da rendere effettivo prima del rinvio a giudizio, ambienti siriani hanno confermato che è cresciuta enormemente l’attesa di conoscere l’andamento degli affari interni sauditi, relativamente alla distribuzione delle posizioni di governo ed alla competizione tra i membri della famiglia reale, nelle sue due componenti della prima e seconda generazione.
Questi ambienti sono arrivati a dire che: “La stabilità del regno è la cosa migliore in questa fase, soprattutto in relazione al coordinamento siro-saudita”.
In un analogo contesto, osservatori a Damasco ritengono che il “ventilato” ritorno del principe Bandar bin Sultan ad una posizione di primo piano nella struttura del potere saudita (dopo un suo completo allontanamento, che era arrivato ai limiti della scomparsa definitiva) potrebbe non essere opportuno in questo preciso momento.
Tali osservatori sembrano temere le imprevedibili conseguenze del ritorno di Bandar, le quali potrebbero gettare un’ombra sul progresso degli sforzi compiuti in relazione al dossier libanese. Questi ambienti precisano tuttavia che il ritorno di Bandar bin Sultan è una faccenda che riguarda la famiglia saudita.
Gli esperti ritengono che la monarchia saudita stia vivendo attualmente una fase delicata a causa della malattia del re e dell’erede al trono, e a causa delle aspirazioni dei giovani principi, che ritengono di dover cogliere l’occasione per partecipare alla guida del governo. Il principe Bandar bin Sultan bin Abdul Aziz – segretario generale del Consiglio per la sicurezza nazionale – era arrivato a Riyadh dall’estero, ed era stato ricevuto in aeroporto dal principe Muqrin bin Abdul Aziz, capo dei servizi segreti, e da un gruppo di importanti principi dell’Arabia Saudita. E’ stato riferito che Bandar bin Sultan avrebbe giocato un ruolo di primo piano nel deterioramento delle relazioni tra Damasco e Riyadh all’indomani dell’assassinio di Hariri, e negli anni successivi.
Le parti libanesi fanno affidamento sui risultati della coordinamento siro-saudita per porre fine alla scottante crisi politica libanese, la quale potrebbe evolversi ulteriormente dopo l’emissione del rinvio a giudizio da parte del tribunale internazionale, col rischio di conflitti confessionali nel caso in cui il rinvio a giudizio dovesse tradursi in un’incriminazione di Hezbollah.
Gli osservatori libanesi hanno sottolineato che il principe Abdul Aziz bin Abdullah – il figlio del re saudita incaricato dei contatti con la Siria e il Libano – è partito anch’egli per Washington per accompagnare suo padre. Il che significa che sarà necessario aspettare fino al loro ritorno – che potrebbe farsi attendere – per riprendere le consultazioni e i contatti sulla faccenda libanese.
Il regno arabo saudita sta vivendo una situazione di incertezza politica senza precedenti. L’assenza del re saudita e l’improvviso ritorno dell’erede al trono dal Marocco occupano i discorsi nei forum e negli incontri politici.
Facebook e Twitter hanno assistito a numerose discussioni e commenti su questa difficile fase della storia del regno, e su come riorganizzare il potere ed evitare lotte tra le fazioni rivali all’interno della famiglia.
Circola un articolo del dott. Mohammed Abdul Karim, professore di diritto religioso all’Università al-Imam, che parla della necessità che i cittadini prendano parte alla scelta di chi dovrà rappresentarli. Questo articolo è stato pubblicato su numerosi siti web.
Nel suo articolo Abdul Karim si domanda: “Se la famiglia regnante dovesse cadere a causa di fattori interni (lotte interne alla famiglia) o esterni, il destino del’unità e del popolo continuerà a dipendere da conflitti interni ed esterni, e dalla presenza o meno della famiglia reale?”.
Poi egli aggiunge: “Restituite valore al popolo, all’uguaglianza tra le sue componenti, ad una sua reale direzione dello stato, a vere consultazioni, ad un popolo reale, e non ad un popolo immaginario dall’unità apparente e puramente esteriore, esposto alla dissoluzione semplicemente a causa di divergenze all’interno del regime”.
Nel regno saudita molti si sono soffermati sugli annunci di felicitazioni pubblicati dalla maggior parte dei giornali sauditi in occasione del ritorno del principe Salman bin Abdul Aziz – governatore della regione di Riyadh – che ha subito ripreso le proprie funzioni ed ha ricevuto le persone che si congratulavano del suo ritorno. Alcuni hanno interpretato queste congratulazioni come una “campagna elettorale” che rispecchierebbe le aspirazioni del principe Salman ad assumere un incarico importante all’interno dello stato, che potrebbe essere la posizione di principe ereditario.
La situazione interna saudita, e la questione della successione in particolare, hanno avuto ripercussioni nella regione del Golfo, i cui abitanti aspettano con ansia la rappresentanza saudita al vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo che si terrà agli inizi del mese prossimo a Abu Dhabi.
Molti osservatori prevedono che a capo della delegazione saudita ci sarà il principe Nayef bin Abdul Aziz – il secondo vice primo ministro – a causa dell’assenza del re saudita e della malattia del principe Sultan bin Abdul Aziz, attuale erede al trono.
A meno che il principe Sultan non decida di essere a capo della delegazione nella seduta di apertura e per un breve periodo, per poi lasciare il vertice, consegnando la presidenza al principe Saud al-Faisal, attuale ministro degli esteri.
Un esperto di questioni saudite, residente nei paesi del Golfo, ha dichiarato ad “al Quds al-arabi” che, se il principe Nayef dovesse assumere la presidenza della delegazione, ciò significherebbe che la questione della successione è stata decisa e che egli sarà designato come erede al trono nel caso in cui questa posizione dovesse diventare vacante.
Kamal Saqr
http://www.medarabnews.com/2010/11/28/incertezza-in-siria-in-libano-e-nei-paesi-del-golfo-per-i-preparativi-alla-successione-in-arabia-saudita/
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giovedì 22 aprile 2010
Se saltano le regole al confine siro-libanese
di Jonathan Spyer
La convocazione al Dipartimento di stato americano del vice capo della missione diplomatica siriana a Washington, Zouheir Jabbour, per riferire sui trasferimenti di armi siriane a Hezbollah non è che l’ultima testimonianza del fatto che le rinnovate tensioni al confine settentrionale d’Israele sono tutt’altro che infondate. La Siria ha ripetutamente smentito i recenti rapporti secondo cui avrebbe autorizzazione il trasferimento ai libanesi Hezbollah di missili balistici Scud-D. Ma la questione degli Scud è solo un particolare, sebbene rilevante, all’interno di un quadro più ampio che è venuto chiaramente a galla sin dall’agosto 2006. Si tratta della realtà entro la quale la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che pose fine alla guerra fra Israele e Hezbollah dell’estate 2006, è stata trasformata in lettera morta dal “blocco della resistenza” costituito da Iran, Siria e Hezbollah.
Vale la pena ricordare che all’epoca la risoluzione 1701 venne sbandierata come un significativo successo della diplomazia. Era la risoluzione che avrebbe dovuto rafforzare la basi della rinnovata sovranità libanese, che allora sembrava possibile dopo il ritiro delle forze armate siriane dal Libano nel 2005. Le sue disposizioni erano assai chiare. La risoluzione prescrive il “disarmo di tutti i gruppi in Libano cosicché … non vi siano né armi né autorità in Libano oltre a quelle dello Stato libanese”. Essa inoltre proibiva esplicitamente “la vendita e fornitura di armi e materiale connesso in Libano ad eccezione di quanto autorizzato dal suo governo”.
Hezbollah e i suoi sostenitori hanno calcolato, a ragione, che né il governo libanese né le Nazioni Unite né la “comunità internazionale” avrebbero avuto la capacità o la volontà di far rispettare queste clausole.
Le Nazioni Unite stesse hanno ammesso la grave inadeguatezza degli arrangiamenti lungo il confine siro-libanese. L’Onu ha condotto due analisi della situazione su quel confine: una nel giugno 2007, l’altra nell’agosto 2008. Il secondo rapporto ha rilevato, per dirla nel linguaggio asciutto di questo genere di documenti, che “anche tenendo conto della difficile situazione politica in Libano durante lo scorso anno”, i progressi verso il conseguimento degli obiettivi enunciati nella risoluzione 1701 sono stati “insufficienti”. La “difficile situazione politica” del 2008 è un riferimento al fatto che l’unico tentativo del governo elettivo libanese di far rispettare la sua sovranità da parte degli alleati nel paese di Siria e Iran era finito nel maggio di quell’anno con la violenta disfatta del governo stesso. Hezbollah e i suoi alleati avevano semplicemente chiarito che qualunque tentativo di interferire con i loro dispositivi militari sarebbe stato affrontato con la forza pura e semplice, e in effetti nessun ulteriore tentativo venne più fatto. Il risultato è stato che negli ultimi tre anni e mezzo, sotto gli occhi indifferenti del resto del mondo, sulle strade che collegano la Siria al Libano è risuonato il rumore dei camion dei fornitori intenti a portare armamenti siriani e iraniani in Libano.
La reazione di Israele è stata quella di tenere d’occhio la situazione e mettere in chiaro che il superamento di certi limiti in termini di tipo, calibro e gittata delle armi messe a disposizione di Hezbollah, sarebbe stato considerato un casus belli. Il recente innalzamento della tensione è dovuto appunto all’emergere di prove che questi limiti vengono impunemente calpestati.
La cosa non è iniziata coi rapporti sugli Scud. Nei mesi scorsi erano già diventate di pubblico dominio le prove di tipi d’armi che indicano una volontà siriana e iraniana di trasformare Hezbollah in una fidata minaccia strategica contro Israele. Tali armi fornite a Hezbollah comprendono missili terra-terra M-600, sistemi missilistici portatili terra-aria Igla-S che possono costituire un pericolo per i caccia israeliani impegnati a monitorare i cieli del Libano meridionale, e ora i sistemi di missili balistici Scud-D. Se i rapporti circa tali armamenti sono corretti, ciò farebbe di Hezbollah il gruppo paramilitare non statale di gran lunga meglio armato al mondo.
Il che non significa che la guerra sia necessariamente imminente. Israele non sembra aver fretta di castigare Hezbollah e la Siria per essersi fatti beffe dei limiti stabiliti. A differenza dei suoi nemici, il governo israeliano deve rendere conto all’opinione pubblica e gli sarebbe difficile giustificare di fronte al pubblico israeliano un intervento preventivo, che potrebbe senz’altro sfociare in una nuova guerra. D’altra parte, anche Hezbollah e Siria non sembrano aver fretta di aprire le ostilità. Hanno semplicemente introiettato il fatto che nulla sembra poter seriamente ostacolare le loro attività attraverso il confine orientale del Libano, e quindi procedono a ritmo sostenuto.
La più chiara lezione di questi ultimi eventi è lo status fittizio di garanzie e risoluzioni internazionali quando non siano sostenute da una reale volontà di farle rispettare. Il fallimento dell’occidente nel garantire il governo elettivo libanese ha permesso di fatto a Hezbollah di impadronirsi del paese. Non aver insistito per l’attuazione della risoluzione 1701 ha consentito a quanto pare la trasformazione strategica di Hezbollah nel corso degli ultimi tre anni e mezzo. Anche se il “blocco della resistenza” non cerca un conflitto nell’immediato, tuttavia nulla indica che i suoi appetiti siano si siano saziati con i suoi recenti guadagni. Leggi, elezioni e accordi non lo ostacolano. Opera, piuttosto, secondo il dettato di un certo “condottiero” tedesco del XX secolo, che disse: “Voi state là con le vostre leggi, io starò qui con le mie baionette: vedremo chi vincerà”. La vera domanda naturalmente è quanto a lungo la vittima designata di tale atteggiamento sia disposta a lasciare che vada avanti.
(Da. Jerusalem Post, 21.4.10)
La convocazione al Dipartimento di stato americano del vice capo della missione diplomatica siriana a Washington, Zouheir Jabbour, per riferire sui trasferimenti di armi siriane a Hezbollah non è che l’ultima testimonianza del fatto che le rinnovate tensioni al confine settentrionale d’Israele sono tutt’altro che infondate. La Siria ha ripetutamente smentito i recenti rapporti secondo cui avrebbe autorizzazione il trasferimento ai libanesi Hezbollah di missili balistici Scud-D. Ma la questione degli Scud è solo un particolare, sebbene rilevante, all’interno di un quadro più ampio che è venuto chiaramente a galla sin dall’agosto 2006. Si tratta della realtà entro la quale la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che pose fine alla guerra fra Israele e Hezbollah dell’estate 2006, è stata trasformata in lettera morta dal “blocco della resistenza” costituito da Iran, Siria e Hezbollah.
Vale la pena ricordare che all’epoca la risoluzione 1701 venne sbandierata come un significativo successo della diplomazia. Era la risoluzione che avrebbe dovuto rafforzare la basi della rinnovata sovranità libanese, che allora sembrava possibile dopo il ritiro delle forze armate siriane dal Libano nel 2005. Le sue disposizioni erano assai chiare. La risoluzione prescrive il “disarmo di tutti i gruppi in Libano cosicché … non vi siano né armi né autorità in Libano oltre a quelle dello Stato libanese”. Essa inoltre proibiva esplicitamente “la vendita e fornitura di armi e materiale connesso in Libano ad eccezione di quanto autorizzato dal suo governo”.
Hezbollah e i suoi sostenitori hanno calcolato, a ragione, che né il governo libanese né le Nazioni Unite né la “comunità internazionale” avrebbero avuto la capacità o la volontà di far rispettare queste clausole.
Le Nazioni Unite stesse hanno ammesso la grave inadeguatezza degli arrangiamenti lungo il confine siro-libanese. L’Onu ha condotto due analisi della situazione su quel confine: una nel giugno 2007, l’altra nell’agosto 2008. Il secondo rapporto ha rilevato, per dirla nel linguaggio asciutto di questo genere di documenti, che “anche tenendo conto della difficile situazione politica in Libano durante lo scorso anno”, i progressi verso il conseguimento degli obiettivi enunciati nella risoluzione 1701 sono stati “insufficienti”. La “difficile situazione politica” del 2008 è un riferimento al fatto che l’unico tentativo del governo elettivo libanese di far rispettare la sua sovranità da parte degli alleati nel paese di Siria e Iran era finito nel maggio di quell’anno con la violenta disfatta del governo stesso. Hezbollah e i suoi alleati avevano semplicemente chiarito che qualunque tentativo di interferire con i loro dispositivi militari sarebbe stato affrontato con la forza pura e semplice, e in effetti nessun ulteriore tentativo venne più fatto. Il risultato è stato che negli ultimi tre anni e mezzo, sotto gli occhi indifferenti del resto del mondo, sulle strade che collegano la Siria al Libano è risuonato il rumore dei camion dei fornitori intenti a portare armamenti siriani e iraniani in Libano.
La reazione di Israele è stata quella di tenere d’occhio la situazione e mettere in chiaro che il superamento di certi limiti in termini di tipo, calibro e gittata delle armi messe a disposizione di Hezbollah, sarebbe stato considerato un casus belli. Il recente innalzamento della tensione è dovuto appunto all’emergere di prove che questi limiti vengono impunemente calpestati.
La cosa non è iniziata coi rapporti sugli Scud. Nei mesi scorsi erano già diventate di pubblico dominio le prove di tipi d’armi che indicano una volontà siriana e iraniana di trasformare Hezbollah in una fidata minaccia strategica contro Israele. Tali armi fornite a Hezbollah comprendono missili terra-terra M-600, sistemi missilistici portatili terra-aria Igla-S che possono costituire un pericolo per i caccia israeliani impegnati a monitorare i cieli del Libano meridionale, e ora i sistemi di missili balistici Scud-D. Se i rapporti circa tali armamenti sono corretti, ciò farebbe di Hezbollah il gruppo paramilitare non statale di gran lunga meglio armato al mondo.
Il che non significa che la guerra sia necessariamente imminente. Israele non sembra aver fretta di castigare Hezbollah e la Siria per essersi fatti beffe dei limiti stabiliti. A differenza dei suoi nemici, il governo israeliano deve rendere conto all’opinione pubblica e gli sarebbe difficile giustificare di fronte al pubblico israeliano un intervento preventivo, che potrebbe senz’altro sfociare in una nuova guerra. D’altra parte, anche Hezbollah e Siria non sembrano aver fretta di aprire le ostilità. Hanno semplicemente introiettato il fatto che nulla sembra poter seriamente ostacolare le loro attività attraverso il confine orientale del Libano, e quindi procedono a ritmo sostenuto.
La più chiara lezione di questi ultimi eventi è lo status fittizio di garanzie e risoluzioni internazionali quando non siano sostenute da una reale volontà di farle rispettare. Il fallimento dell’occidente nel garantire il governo elettivo libanese ha permesso di fatto a Hezbollah di impadronirsi del paese. Non aver insistito per l’attuazione della risoluzione 1701 ha consentito a quanto pare la trasformazione strategica di Hezbollah nel corso degli ultimi tre anni e mezzo. Anche se il “blocco della resistenza” non cerca un conflitto nell’immediato, tuttavia nulla indica che i suoi appetiti siano si siano saziati con i suoi recenti guadagni. Leggi, elezioni e accordi non lo ostacolano. Opera, piuttosto, secondo il dettato di un certo “condottiero” tedesco del XX secolo, che disse: “Voi state là con le vostre leggi, io starò qui con le mie baionette: vedremo chi vincerà”. La vera domanda naturalmente è quanto a lungo la vittima designata di tale atteggiamento sia disposta a lasciare che vada avanti.
(Da. Jerusalem Post, 21.4.10)
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