La nostra mente implora di non dover guardare il massacro della famiglia Fogel. Ogni fibra umana del nostro essere si ribella a questa ferocia a sangue freddo. Quale nauseabondo miasma può aver generato un terrorista capace di acquattarsi fra i membri della famiglia Fogel in pieno sonno – la madre Ruth, il padre Udi e tre loro figlioletti, compresa la neonata Hadas di soli tre mesi – e tagliar loro la gola metodicamente, uno a uno?
Proporre come scusante l’“occupazione” rappresenta un vacuo insulso al buon senso. Le limitazioni ad alcune libertà cui sono soggetti i palestinesi e il limbo politico in cui si ritrovano – frutto in gran parte della loro stessa indisponibilità ad accettare un compromesso realistico – non possono “spiegare” né “giustificare” un tale orrore. Né può farlo la semplice esistenza di famiglie ebraiche su una terra di risonanza biblica, che in precedenza fu sotto il controllo della Giordania e che ora viene generalmente considerata come di pertinenza dei palestinesi.
Ma i leader palestinesi vogliono far credere il contrario, e le reazioni dell’Autorità Palestinese a quest’ultima atrocità suonano vuote e false. “Noi respingiamo questa violenza e la condanniamo come abbiamo ripetutamente condannato le violenze contro il nostro popolo”, ha dichiarato ai giornalisti il primo ministro palestinese Salam Fayyad poche ore dopo la carneficina della famiglia Fogel. Chiarissimo il sottinteso: la mostruosità perpetrata a Itamar può e deve essere messa sullo stesso piano dei tentativi che fanno le Forze di Difesa israeliane di difendere i propri cittadini dai razzi Qassam e Grad di Hamas lanciati dalla striscia di Gaza, un territorio reso da Israele nell’estate 2005completamente “Judenrein” (ripulito da ebrei), o dei tentativi che fanno le Forze di Difesa israeliane di proteggere i cittadini da attentati suicidi e da agguati stradali che originano da Nablus, Jenin o Hebron.
La prima reazione del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non stata molto diversa, cosa che ha spinto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a biasimare le dichiarazioni “deboli e a mezzo bocca” dell’Autorità Palestinese. [Solo lunedì mattina, dopo le numerose critiche e dopo la diffusione in Israele delle scioccanti immagini vittime, in un'intervista esclusiva a radio Kol Israel Abu Mazen ha definito l’attentato a Itamar “abietto, immorale e disumano”.]
Giusto per ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio, ma che è stato opportunamente e non poi così innocentemente taciuto da Fayyad e da Abu Mazen: le Forze di Difesa israeliane non mirano mai intenzionalmente a bersagli civili, men che meno a bambini. Quando dei non combattenti, comprese donne e bambini, vengono involontariamente colpiti nelle operazioni delle Forze di Difesa israeliane, praticamente la totalità della popolazione israeliana lo considera un tragico ma inevitabile esito della guerra, spesso spiegabile con l’uso deliberato e cinico dei civili come scudi umani da parte dei palestinesi. Il disgustoso tentativo di Fayyad e Abu Mazen di equiparare l’abominevole crimine perpetrato a Itamar alle azioni militari delle forze israeliane è un sintomo lieve di una malattia molto più profonda che affligge il popolo palestinese. Uno degli spettacoli più miseramente sconfortanti degli ultimi vent’anni è stata l’incapacità dei nazionalisti palestinesi di ogni genere di elevarsi al di sopra di quello che il giornalista Christopher Hitchens ebbe a definire “un inferno thanatocratico”.
Domenica scorsa, letteralmente nello stesso momento in cui migliaia di israeliani si raccoglievano nel cimitero di Givat Shaul, a Gerusalemme, per accompagnare mestamente e pacificamente la famiglia Fogel al riposo eterno, il movimento giovanile di Fatah, in un patologico festival di morte, celebrava l’intitolazione di una piazza ad Al-Bireh, cittadina adiacente a Ramallah (Cisgiordania), alla memoria della terrorista “martire” Dalal Mughrabi. L’11 marzo 1978 Dalal Mughrabi, insieme ad altri otto o nove terroristi di Fatah armati di Kalashnikov e granate, guidò il “massacro della strada costiera”: un’orgia di esecuzioni indiscriminate che lasciò sul terreno 38 israeliani innocenti, tra cui tredici bambini. La Mughrabi, autentica “eroina” per migliaia e migliaia di palestinesi, sperava in quel modo di far naufragare i colloqui di pace fra Israele ed Egitto.
Come ha detto domenica al governo Yossi Kuperwasser, direttore generale del ministero per gli affari strategici, il culto di morte della Mughrabi non è che uno dei tanti esempi di istigazione palestinese all’odio contro Israele. Il massacro della famiglia Fogel, ha osservato Kuperwasser, “è in certo modo espressione del modo in cui l’Autorità Palestinese presenta un atteggiamento di odio e di demonizzazione verso gli israeliani in generale, e i coloni in particolare”. Sui mass-media arabi e palestinesi abbondano le caricature di ebrei raffigurati nello stile antisemita del “Der Sturmer” nazista; lo scorso dicembre Abu Mazen ha ufficialmente assegnato 2.000 dollari alla famiglia di un aspirante terrorista palestinese che è stato ucciso dai soldati israeliani mentre si lanciava contro di loro brandendo due ordigni esplosivi e gridando “Allahu Akbar”; un cantante egiziano che invoca la jihad (guerra santa) contro Israele è stato ripetutamente trasmesso nei mesi scorsi da radio e tv ufficiali dell’Autorità Palestinese; e solo poche ore prima del massacro di Itamar, Abu Mazen incontrava un giovane palestinese che aveva partecipato a un concorso di canto dove si esaltavano gli attentatori suicidi.
Questo elenco, appena accennato, e che può essere sostanzialmente completato coi rapporti regolarmente preparati da organizzazioni come Palestinian Media Watch, ci aiuta a capire come i terroristi palestinesi possano arrivare a commettere un atto tanto ignobile quanto quello contro la famiglia Fogel. Riflesso, qual è, dell’insistente rifiuto dei palestinesi di introiettare il basilare diritto degli ebrei a una sovranità su una qualche parte di questa terra contesa, quell’elenco rappresenta anche il vero grande ostacolo a una soluzione pacifica del conflitto israelo-arabo-palestinese.
Editoriale del Jerusalem Post
(Da: Jerusalem Post, 14.3.11)
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