La minaccia del terrorismo internazionale connota l'attuale fase di trasformazione del sistema politico internazionale. Una ricostruzione delle vicende storico-politiche che hanno scosso l'intero pianeta. Da una parte lo Stato d'Israele e dall'altra la nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese, dietro l'affermarsi del terrorismo.
giovedì 12 maggio 2011
Israele propone la pace, Hamas promette guerra per generazioni
IL MINISTRO DELLA DIFESA ISRAELIANO EHUD BARAK ha parlato martedì di un possibile piano per un accordo di pace coi palestinesi, accennando quelli che potrebbero essere i punti principali che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu illustrerà questo mese nel suo prossimo discorso davanti al Congresso americano e al presidente Barack Obama. Parlando al ricevimento tradizionalmente organizzato per i soldati in servizio nel quartier generale delle Forze di Difesa israeliane a Tel Aviv, Barak ha detto che Israele è pronto a compiere “passi coraggiosi” pur di arrivare alla pace. “Alla vigilia di questa 63esima Giornata dell’Indipendenza – ha detto – Israele si presenta come il paese più forte e più stabile nel raggio di 1.500 chilometri attorno a Gerusalemme. Questa posizione di forza e di fiducia in se stessi richiede che Israele formuli un piano ampio e coraggioso per bloccare quella sorta di tsunami politico che sta per arrivare il prossimo settembre”. Il riferimento è al proposito dell’Autorità Palestinese di dichiarare alle Nazioni Unite l’indipendenza dello stato palestinese unilateralmente, cioè senza negoziato né accordo con Israele. Barak ha detto che Israele è pronto a prendere “decisioni difficili” fintanto che rimangono integre la sua sicurezza e i suoi rapporti con gli Stati Uniti. Dopodiché ha presentato i punti salienti del suo piano:
– Un confine permanente, definito sulla base dei vitali interessi di sicurezza e demografici, tale che i grandi blocchi di insediamenti a ridosso della ex linea armistiziale e i quartieri a maggioranza ebraica di Gerusalemme rimangano sotto sovranità israeliana, accompagnato da scambi di terre tali da lasciare nelle mani dei palestinesi una quantità di territorio analoga a quella che stava al di là della linea armistiziale prima del 1967.
– Misure di sicurezza che prevedano una presenza militare israeliana permanente lungo il fiume Giordano, a protezione del confine orientale, e garanzie che lo stato smilitarizzato palestinese non possa diventare un’altra striscia di Gaza o un altro Libano.
– Insediamento dei profughi palestinesi (e loro discendenti) nello stato palestinese.
– Intese concordate per l’area santa di Gerusalemme.
– Infine, ma più importante, una esplicita dichiarazione che, con l’accordo di pace, il conflitto è terminato e con esso cessa ogni ulteriore rivendicazione fra le parti, unita a un riconoscimento formale di Israele come stato nazionale del popolo ebraico e dello stato palestinese come stato nazionale degli arabi palestinesi.
Barak ha spiegato che questi principi corrispondo in pratica alle richieste che Israele avanza sin dall’anno 2000. Ha chiesto inoltre alla comunità internazionale di adoperarsi per lo “smantellamento delle strutture terroristiche nella striscia di Gaza” e di fare propri i principi stabiliti dal Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Ue, Russia,Onu), e cioè: riconoscimento del diritto di Israele ad esistere, riconoscimento degli accordi precedente sottoscritti da israeliani e palestinesi, ripudio della violenza e del terrorismo. “Ai quali aggiungerei – ha concluso Barak – la richiesta perfettamente comprensibile per qualunque persona civile che, prima di ogni altra cosa, venga permesso alla Croce Rossa di vedere Gilad Shalit”, l’ostaggio israeliano trattenuto da Hama nella striscia di Gaza sin dal giugno 2006.
L’ORGANIZZAZIONE ISLAMISTA PALESTINESE HAMAS sarebbe anche disposta ad accettare uno stato palestinese nelle linee del 1967, ma non accetterà mai di riconoscere lo stato di Israele perché questo significherebbe contraddire l’obiettivo del movimento di “liberare tutta la Palestina” e privare le future generazioni palestinesi della possibilità di “liberare tutte le loro terre”. Lo ha detto mercoledì all’agenzia di stampa palestinese Ma'a Mahmoud al-Zahar, uno dei più alti esponenti di Hamas nella striscia di Gaza.
Alludendo alla possibile linea politica del costituendo governo di unità nazionale palestinese Fatah-Hamas, al-Zahar ha detto che riconoscere il diritto ad esistere di Israele significa “precludere il diritto delle future generazioni di liberare le terre”, e si è domandato (con un riferimento quasi esplicito al principio palestinese di riservarsi il “diritto di “invadere” Israele con i discendenti dei profughi palestinesi): “Quale sarebbe in quel caso il destino di cinque milioni di palestinesi in esilio?”
Al-Zahar ha spiegato che, nel frattempo, Hamas è disposta ad accettare uno stato palestinese “su qualunque parte di Palestina”, senza con questo contraddire il suo obiettivo proclamato di arrivare a uno stato palestinese “dal fiume Giordano al mar Mediterraneo”.
Al-Zahar ha anche parlato della tregua militare con Israele, confermando che il movimento islamista palestinese è disposto ad andare avanti col cessate il fuoco, purché sia chiaro che “la tregua fa parte della lotta armata, non di un suo ripudio”, e che “in ogni caso tregua non significa pace”.
Al-Zahar ha poi affermato che, pur avendo riposto molte speranze nell’unità della fazioni palestinesi e nel suo impatto sull’imminente creazione di uno stato palestinese, egli tuttavia dubita che tale progetto possa essere portato a termine il prossimo settembre, una scadenza che l’Autorità Palestinese ha posto prima di siglare l’accordo con Hamas. “Tutto questo parlare di uno stato palestinese – ha detto al-Zahar – è un tentativo di pacificarci”, per poi domandarsi quale sarebbe la natura di tale stato palestinese, se venisse proclamato fra pochi mesi: “Quale sarebbe il suo territorio? Quelli che vivono in Cisgiordania e striscia di Gaza sarebbero i suoi cittadini? E che ne sarebbe dei cinque milioni di palestinesi in esilio? Intendiamo forse rinunciare al loro diritto al ritorno?”
(Da: Ha’aretz, YnetNews, 11.5.11)
http://www.israele.net/articolo,3132.htm
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