domenica 13 giugno 2010

Ospedale israeliano salva la vita a un ragazzo palestinese

Di Larry Rich

All’ospedale Emek, in Israele, non importa se sei ebreo, cristiano o palestinese. Giovedì 3 giugno, tre giorni dopo il raid per fermare la flottiglia diretta a forzare il blocco anti-Hamas su Gaza, il quindicenne Muhammed Kalalwe stava lavorando nei campi della sua famiglia. Vivono a Jenin, una città palestinese nella Cisgiordania settentrionale, ai confini con la valle israeliana di Jezreel e la città di Afula. Quel giorno il ragazzo riconobbe una vipera dal morso mortale e cercò di ucciderla con un sasso, ma quello lo attaccò, mordendogli la mano destra. Ci furono urla e panico e, in pochi minuti, il padre del ragazzo, Hafed, afferrò il figlio e lo portò di corsa all’ospedale di Jenin. Lì, tuttavia, non erano attrezzati per curare il ragazzo, non disponendo di siero antivipera, e decisero di mandarlo in ambulanza all’Emek Medical Center di Afula, in Israele.
L’Emek, fondato 86 anni fa, è un ospedale comunitario che serve una popolazione culturalmente varia, divisa in parti uguali tra ebrei ed arabi israeliani. Vi opera uno staff medico misto di ebrei ed arabi,e la sua filosofia è quella della coesistenza attraverso la medicina.
In seguito Hafed ha raccontato che era davvero spaventato all’idea di essere portato all’Emek perché era certo che sarebbero stati ignorati e che nessuno avrebbe nemmeno rivolto loro la parola, ma la mano ed il braccio di suo figlio si erano gonfiati in modo impressionante e il dolore era diventato insopportabile.
La realtà umana dell’Emek ha colpito padre e figlio appena non appena si sentirono salutare in arabo e vennero portati di corsa al pronto soccorso dove lo staff multietnico dell’ospedale israeliano ha somministrato al ragazzo il siero anti-vipera, strappandolo all’ultimo momento alla morte.
Muhammed è poi rimasto due giorni nell’unità pediatrica di terapia intensiva e ora si trova nel dipartimento chirurgico pediatrico dell’Emek, da dove verrà dimesso nei prossimi giorni.
Ho chiesto al padre che cosa provasse, ora, nei confronti dell’ospedale Emek e degli israeliani con cui è venuto in contatto. “Il nostro popolo non sa la verità su di voi e la nostra medicina ha ancora molta strada da fare – mi ha detto – Mio figlio ed io non siamo gli stessi che eravamo prima che questo accadesse, e condivideremo questa esperienza con la famiglia e gli amici”.
Parlando, gesticolava alla classica maniera mediorientale, e quando ci siamo stretti la mano e ho fatto gli auguri ad entrambi, la stretta era ferma e sincera. Ho stretto molte mani simili e guardato in molti occhi palestinesi che hanno visto, qui all’ Emek Medical Center, una realtà che non si sarebbero mai aspettati di vedere.

(Da: israel21c, 09.06.10)
http://www.israele.net/sezione,,2863.htm

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