In Siria si combatte la prima guerra mondiale su scala
locale. Dico mondiale perché vi sono coinvolti
le massime potenze internazionali e regionali.
La rivolta siriana, iniziata
come un movimento di forte protesta non violento, ben presto si è indirizzata
verso la militarizzazione, sia per interventi di bande straniere che per
risposta del regime.
Gli schieramenti contrapposti
sono, da un lato, formati da coloro che appoggiano il regime (Iran, Russia e
Hezbollah libanesi); dall’altro, coloro che agiscono per la caduta di Bashar
Assad (le petromonarchie del Golfo, America e, seppur con vari distinguo,
l’U.E.). In particolare è notevole, a livello regionale, l’interessamento
dell’Arabia Saudita e della Turchia per interessi geopolitica e strategici.
Il regno di Casa Saud vede
nella caduta di Assad il ridimensionamento della Mezzaluna sciita, composta da Libano, Siria, Iraq e Iran, a favore del proprio prestigio di vero
“baluardo e difensore del vero Islam”. Insomma il ripetersi dell’antica
diatriba tra sunniti e sciiti.
La Turchia, invece, vede la
possibilità di una penetrazione strategica nel sud-est asiatico, in
ottemperanza alla dottrina politica del proprio ministro degli Esteri,
Davutoglu. Tutto ciò ha portato alla formazione di diverse sigle di opposizione,
divise tra loro in quanto non aderiscono ad una piattaforma politica comune.
Le maggiori sono: il
Consiglio nazionale siriano, di base a Istanbul, formato per la maggioranza dai
Fratelli musulmani siriani; il Comitato di coordinamento nazionale per il
cambiamento democratico, tendenzialmente di sinistra; il Forum democratico
siriano, anch’esso di sinistra; la Coalizione nazionale siriana, che mira a
incorporare tutte le componenti di opposizione. Agiscono, anche, alcune
componenti inserite nella lista nera del terrorismo, poiché in questo conflitto
vi sono organizzazioni jihadiste. Difatti combattono in Siria in nome del
“Bilad al-Sam”, ovvero il nome storico della capitale –oggi Damasco- del primo
califfato islamico, nonché la terra dove un giorno avverrà il “Giorno del giudizio” (yawm al-qiyama) con lo scontro tra
le forze del bene e del male.
Un conflitto eterogeneo, che vede oggi, la possibilità di un intervento
militare americano in Siria. Intervento fortemente osteggiato da Putin tanto
che nelle acque del Mediterraneo si
muovono le navi da guerra americane e russe come ai tempi della guerra fredda.
La risposta militare in un quadro così frammentato non farebbe altro che
allargare il conflitto con conseguente rappresaglia su Israele e l’alta possibilità
di far esplodere la guerra civile in Libano. Inoltre si creerebbe quel vuoto di
potere che potrebbe essere colmato da altri attori estremisti
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