«Con l'assassinio di Choukri Belaid abbiamo
oltrepassato la linea rossa», dice Salaheddine Jourchi, giornalista,
ricercatore, uno dei maggiori esperti della politica tunisina, che negli
anni '70 fu militante del partito islamico Ennhada e in anni recenti
consulente anche dell'ex segretario di Stato Hillary Clinton. Pochi conoscono come lui dall'interno le dinamiche storiche e attuali del movimento islamico.
«La lotta politico-ideologico tra gli islamisti da una parte e i
laici e i nazionalisti dall'altra si è spinta troppo avanti: anche il
popolo tunisino è diviso su fronti contapposti, con gravi problemi
quotidiani per la sicurezza del Paese». Una soluzione politica per
rimpiazzare l'attuale governo con uno più ampio, magari includendo
l'opposizione, non è semplice: il nuovo esecutivo dovrebbe concludere i
lavori dell'Assemblea per la nuova costituzione e fissare la data delle
elezioni parlamentari, due traguardi indispensabili per dare un minimo
di stabilità ma che in questo momento appaiono lontani.
La crisi istituzionale, se non verrà risolta in tempi accettabili,
rischia di affondare lo stato ereditato dal vecchio regime con la
rivoluzione dei gelsomini. «Perché qui è in gioco - spiega Jourchi - una
partita essenziale, quella dell'unità nazionale, una questione centrale
che vale per la Tunisia come per il resto del mondo arabo dove sono
cadute o stanno e per cadere le dittature, dall'Egitto alla Siria». Dopo
l'indipendenza dalla Francia, ottenuta senza spargimento di sangue, il
padre della patria Habib Bourghiba fondò negli anni Cinquanta uno stato
secolarista dove la religione veniva messa da parte, occultata. Non si
celebrava neppure il Ramadan e Bourghiba, grande ammiratore di Ataturk,
chiuse anche la Zitouna, la più antica università musulmana del
Nordafrica: la religione venne relegata nelle moschee e gli islamici non
potevano fare politica.
Il successore Ben Alì affrontò l'ascesa del movimento di Rashid
Gannouchi con la repressione, lasciando di fatto ai margini gran parte
del Paese. L'unità nazionale era imposta da uno stato poliziesco e
quando è crollato il regime le divisioni nascoste dall'autocrazia e
dalla retorica del raìs sono affiorate per diventare adesso eclatanti.
Lo stesso movimento islamico è diviso, non solo tra Ennahda e i
salafiti, i più radicali e violenti, ma anche al suo interno, come
dimostra la sconfessione del primo ministro Jebali. «Una parte - dice
Jourchi - vuole affermare l'egemonia di Ennahda come partito di
maggioranza al potere, un'altra si rende conto dell'impasse ed è
disponibile a condividere il potere andando oltre l'attuale coalizione
di tre partiti».
Una divisione che conferma anche Feysal Nasser, portavoce del
partito: «In Ennahda ci sono sempre state posizioni diverse. Non c'è da
stupirsi, fa parte delle dinamiche nel confronto tra idee. Nonostante la
propaganda dell'opposizione, ci vantiamo di essere un partito
democratico: dovreste leggere almeno uno dei 15 libri scritti da
Gannouchi sull'argomento, ma ci criticano senza averlo mai fatto». Anche
se, aggiungiamo noi, lo sceicco Rashid Gannouchi, il fondatore e il
numero due dell'egiziano Yousuf Qaradawi nell'internazionale dei
Fratelli Musulmani, in oltre trent'anni non ha mai fatto passi indietro,
fagocitando gli oppositori.
Meno efficace è stato Gannouchi nel frenare radicali e salafiti, la
vera ragione del fallimento di Ennahda come partito di governo che ha
portato all'esplosione della rivolta dopo l'assassinio di Belaid. «È
stato compiuto da professionisti, mi sembra chiaro - dice Jourchi -
anche se non sappiamo quanto siano fondate le ipotesi di collegamento ai
salafiti o Al Qaida. Certo che se in Tunisia sono scesi in campo i
jihadisti non sarà quello di Belaid l'ultimo assassinio politico». Ed è
esattamente questa la sottile ma decisiva "linea rossa" che separa la
Tunisia dal baratro.
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