Questo articolo è stato scritto circa due mesi fa, ma mi sembra che sia sempre di stretta attualità e valido anche per tutte le diffamazioni future
Tra poco più di un mese si terrà nel mondo anglosassone la settima edizione della "Israeli Apartheid Week" (Settimana dell'Apartheid Israeliano): sette giorni di conferenze, video, rappresentazioni e concerti contro il regime di apartheid instaurato dallo Stato Ebraico contro gli arabi palestinesi. L'accusa di apartheid è da qualche tempo nota nell'ambiente giornalistico (con i commenti e i reportage di Amira Hass) e nell'ambiente della New Left (Noam Chomsky). Tuttavia quest'accusa ha pervaso anche il diritto internazionale, con ipotesi di avanzamento alla Corte Penale Internazionale del crimine di apartheid che Israele avrebbe messo in atto decenni or sono. La Commissione per l'Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale, istituita dall'omonima Convenzione adottata nel 1965 entrata in forza nel 1968, ha dichiarato nel report annuale del 1998 che la politica israeliana nei territori occupati era in violazione del diritto internazionale ed in particolare dell'art. 3 della medesima convenzione che proibisce l'apartheid, accuse confermate nel report del 2007 che indicavano la barriera di separazione, rectius il muro, come lampante esempio di separazione territoriale propria dell'apartheid. Il Presidente dell'Assemblea Generale dell'ONU, Miguel d'Escoto Brockmann, prete spretato da Giovanni Paolo II per il coinvolgimento nella politica del suo Paese, il Nicaragua, ha dichiarato appena eletto nel 2008 che la comunità internazionale deve adottare tutte le misure necessarie per contrastare il regime di apartheid nel Vicino Oriente.
Altre commissioni e consigli, accademici (Avinery, Brzezinski) e politici (Jimmy Carter) hanno attaccato e attaccano Israele per apartheid che nel frattempo è divenuto un reato internazionale secondo la tipizzazione dello Statuto della Corte Penale Internazionale (art. 7), che potrebbe mobilitarsi contro Israele nel perseguire il crimine.
L'analogia con l'apartheid del Sudafrica si basa principalmente su due argomentazioni: Israele impedisce la libera circolazione degli arabi confinandoli nei Territori che sono stati recintati dal Muro, esattamente come i neri erano confinati nelle townships in Sudafrica; Israele nega l'eguaglianza dei diritti politici e sociali agli arabi, esattamente come i neri non godevano dei diritti politici e civili in Sudafrica. Prima di analizzare le analogie è bene esporre brevemente in cosa consistesse il regime razzista del Sudafrica.
Su youtube è possibile vedere un'intervista a Hendrik Verwoerd, primo ministro sudafricano dal 1958 al 1966, conosciuto come l'architetto dell'apartheid, in cui definisce la pratica istituzionale di segregazione razziale come una "politica di buon vicinato". Il buon vicinato di Verwoerd significava sostanzialmente quattro cose: divieto di matrimoni interrazziali, giudicati come immorali; segregazione territoriale dei neri costretti ad abitare nei bantustan, territori semi-indipendenti; segregazione istituzionale nei trasporti, nelle panchine dei parchi, nelle entrate dei palazzi, nei bagni pubblici; negazione di ogni diritto politico, culturale, sociale, civile, economico ecc. Di qui le analogie con Israele, che avrebbe istituito un regime di apartheid privando gli arabi dei diritti legati alla cittadinanza e all'essere umano.
Il Muro dell'Apartheid - La Libertà di Movimento
All'apice del terrorismo suicida alcuni intellettuali israeliani proposero di dividere i due popoli. Come in una lotta che si trascina nel vortice della violenza, è necessario separare i due contendenti, finché le acque si sono calmate per poi farli rincontrare in vista di una pacificazione. L'idea è stata accolta dal governo israeliano qualche anno fa che ha dato il via alla costruzione di un recinto di separazione, in muratura per alcuni tratti, in modo da impedire il passaggio dei terroristi verso le città israeliane. La conseguenza è stata un calo immediato degli attentati, tanto che altri modi sono stati trovati per attaccare la popolazione israeliana, tra cui l'utilizzo delle ruspe da lavoro. La decisione è stata impugnata da cittadini israeliani e palestinesi, presso la Corte Suprema, che è intervenuta modificando il tracciato della barriera per recare minor danno ai palestinesi. Mentre l'esistenza della barriera è dovuta a ragioni di sicurezza, nessun arabo è espulso al calar del sole dalle città israeliane. Nessuna legge israeliana vieta agli arabi di risiedere in aree specifiche, nessuna legge israeliana impedisce agli arabi di spostarsi sul territorio israeliano. C´è da operare una distinzione fra arabi israeliani, ossia palestinesi di cittadinanza israeliana, e arabi palestinesi, perlopiù di cittadinanza giordana. Impedire a cittadini stranieri la libera entrata in uno Stato non è pratica contraria al diritto internazionale né lo è la limitazione del movimento. Condizionare l'entrata nel territorio nazionale a determinate pratiche (controlli di sicurezza, visti, permessi di genere vario) non è illegittimo, tantomeno se le misure sono dirette a preservare la sicurezza nazionale, intesa in questo caso come integrità fisica dei cittadini.
In Israele nessuna legge vieta ad arabi e israeliani di salire sullo stesso autobus, di sedersi sulla stessa panchina nei parchi, di entrare nello stesso bagno pubblico, di fare la stessa fila al mercato, al museo, al cinema. In Israele non c'è apartheid.
I diritti civili politici sociali ed economici
Durante il regime dell'apartheid in Sudafrica, i neri dovevano frequentare scuole specifiche in cui la lingua d'istruzione era l'afrikaans e in cui s'insegnavano le materie necessarie per divenire i servi del regime. In Sudafrica membri di razze diverse non potevano sposarsi né avere rapporti sessuali, puniti con il carcere--i genitori potevano anche perder la patria potestà dei figli se questi erano scoperti ad intrattenersi con membri di altri gruppi. I neri e gl'indiani erano esclusi da qualsiasi tipo di rappresentanza politica, non avevano diritto di voto, né alcun altro diritto politico. All'inizio degli anni Ottanta una riforma costituzionale introdusse la rappresentanza parlamentare di tre gruppi razziali: afrikaner, inglesi e indiani, ma il gruppo afrikaner deteneva il potere di veto per garantirsi le decisioni finali.
In Israele nessuna legge vieta i matrimoni misti, che, in effetti, ci sono. Di rado capita d'incontrare coppie miste, di solito l'uomo è sempre arabo e la donna ebrea, ma non perché una legge lo vieti. Semplicemente la situazione storica, politica, sociale e culturale non favorisce unioni miste, che non sono tuttavia un necessario parametro per giudicare una buona integrazione o convivenza. Negli Stati Uniti anche le coppie miste rappresentano un'esigua minoranza ma ciò non significa che, nonostante le tensioni, i gruppi razziali non convivano fruttuosamente. Nessuna legge israeliana nega agli arabi i diritti politici, infatti, in Israele esistono i partiti arabi, e il sistema elettorale proporzionale puro è stato scelto proprio per garantire a tutte le voci un'eguale rappresentanza alla Knesseth, il parlamento. Una limitazione alla libertà di contrarre matrimonio è imposta agli arabi israeliani: sono fortemente limitate le unioni tra arabi israeliani e arabi palestinesi. Nel periodo della Seconda Intifada i matrimoni erano utilizzati come escamotage per introdurre in Israele potenziali terroristi, così si sono limitate, tra bufere e discussioni, le unioni tra cittadini di Israele e palestinesi. Certo la limitazione della libertà dei cittadini israeliani grava enormemente sulla libertà di coscienza e ancora una volta le ragioni di sicurezza prevalgono sulla normale vita dello Stato di Diritto. Infine, nessuna legge israeliana vieta agli arabi di avere accesso a informazioni, alla cultura, all'educazione. Le scuole arabe, i curricula scolastici in lingua araba, considerati quali esempio di apartheid non sono altro che l'attuazione del diritto fondamentale al mantenimento della propria cultura e all'educazione nella propria lingua. In più l'arabo è lingua ufficiale, che compare in tutte le scritte, nella toponomastica, nei documenti ufficiali. In Israele non c'è apartheid.
Lo Stato di Diritto e la Sicurezza
Negli ultimi anni si nota una tendenza all'utilizzo improprio di parole che suscitano forti emozioni. Forse dovuta alla necessità giornalistica di produrre scandalo e di smuovere gli animi, questa tendenza emerge chiaramente nel ricorrere continuo delle parole "genocidio", "sterminio", "apartheid". Esistono precise definizioni giuridiche e chiari paragoni storici per ognuna di queste categorie. Definire Israele uno Stato di apartheid è una trovata che certo aumenta la tiratura di giornali e l'affluenza a dibattiti, ma di certo non giova né all'analisi politica né al progresso della storia.
Per Israele sarebbe effettivamente semplice impedire agli arabi di salire sugli stessi autobus, così si eviterebbero gli attentati. Sarebbe una soluzione anche impedire la rappresentanza alla Knesseth, così non ci sarebbero continue ed estenuanti richieste di tutela dei diritti e di lotta contro la discriminazione. Israele potrebbe anche impedire agli arabi di frequentare le università, nella speranza che la minoranza araba si diriga verso altri lidi. Perché Israele non fa questo? Perché in Israele le università sono miste, gli autobus sono misti e, alle volte, raramente, anche i matrimoni? Perché in Israele ci sono ministri arabi? Perché anche nella diplomazia lavorano gli arabi? Perché ci sono medici arabi così come ci sono giardinieri ebrei? Perché ci sono imprenditori arabi come ci sono operai ebrei? Perché ci sono giornaliste arabe come ci sono donne delle pulizie ebree? Perché ci sono avvocate beduine come si sono infermiere ebree?
Perché Israele non è uno Stato di apartheid. Perché Israele è una democrazia, anche se non è una democrazia come le altre, perché fronteggia quotidianamente problemi di sicurezza. Ma la sicurezza, in Israele, non è mai stata degradata a ragione di Stato per giustificare politiche dittatoriali o razziali. La sicurezza è sempre stata seconda allo Stato di Diritto, che esiste anche in quelle decisioni alle volte a noi poco chiare. In Alto Adige il sistema delle quote non è definito apartheid. L'omogeneità etnica di coppie famiglie scuole e locali non è definita apartheid. Perché allora in Israele sì?
Giovanni Quer
http://fuoridalghetto.blogosfere.it/2011/04/perche-israele-non-e-uno-stato-di-apartheid-confronto-con-il-sudafrica.html
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