mercoledì 17 novembre 2010

Il diritto d’Israele ad esistere non è negoziabile





Di Frida Ghitis

Quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è offerto di spingere il proprio governo a decretare un prolungamento della moratoria sulle attività edilizie ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania a patto che i palestinesi riconoscessero Israele come stato nazionale del popolo ebraico, ho provato sentimenti contrastanti in merito a tale proposta. Dopo tutto, mi dicevo, ci sono ben pochi dubbi che Israele sia lo stato patria nazionale degli ebrei. Le stesse Nazioni Unite lo istituirono in questo modo (con la risoluzione del 1947), e la comunità internazionale lo riconosce come tale. Perché chiedere ai palestinesi, che non amano la cosa, di ribadire ciò che è già ovvio?
Poi, però, la veemenza con cui i palestinesi hanno respinto l’idea ha svelato un’opposizione talmente radicata alla soluzione “a due stati” da convincermi che si potrà mai avere una pace autentica e duratura a meno che i palestinesi e gli altri arabi non accettino apertamente Israele come nazione ebraica.
Nazione ebraica, naturalmente, non significa diritti speciali per gli ebrei, o status da cittadini di seconda classe per i non ebrei. Israele è un paese democratico le cui leggi dettano a chiare lettere l’eguaglianza di diritti per tutti i cittadini. Come altre democrazie, anche Israele non riesce sempre a realizzare l’obiettivo dell’eguaglianza davanti alla legge, ma i suoi tribunali, i gruppi di cittadini organizzati e altri soggetti si adoperano senza sosta in questo senso. E Israele non è certo l’unico paese al mondo che comprende una religione o una nazionalità nella sua auto-definizione. Decine di stati abbracciano una religione o una nazionalità pur preservando le diversità e continuando a battersi per l’eguaglianza dei diritti. I cittadini ebrei del Regno Unito, ad esempio, sono leali a un paese sulla cui bandiera campeggiano non una, ma ben due croci (e il cui capo dello stato è anche il capo della religione anglicana). Vi sono decine di paesi che si definiscono cristiani, e per lo più sono democrazie perfettamente funzionanti, con pieni diritti per le minoranze.
I ventidue paesi della Lega Araba, tutti assai carenti di democrazia, si identificano come stati arabi, ed esistono cinquantacinque paesi che si definiscono nazioni musulmane appartenendo all’Organizzazione della Conferenza Islamica. E c’’è solo un’unica, minuscola nazionale sulla Terra che è uno stato ebraico.
Per quasi un decennio gli Stati Uniti hanno esortato i palestinesi a riconoscere Israele come stato ebraico. L’anno scorso all’Assemblea Generale dell’Onu il presidente Barack Obama ha detto: “L’obiettivo è chiaro: due stati che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, uno stato ebraico d’Israele con reale sicurezza per tutti gli israeliani”.
Eppure, quando Netanyahu – come il suo predecessore – ha chiesto ai palestinesi di riconoscere il carattere ebraico di Israele, non come un prerequisito per i colloqui ma come un gesto per creare fiducia, la loro reazione istantanea è stata un veemente rifiuto. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha dichiarato: “Noi non firmeremo mai un accordo che riconosca uno stato ebraico”. Il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha rincarato: “La cosa è completamente respinta”. E quando un esponente palestinese ha lasciato intendere che forse era fattibile, è stato immediatamente rimesso in riga. Ha rimarcato Nabil Sha’ath, consigliere di Abu Mazen: “Non abbiamo alcuna intenzione di farlo, scordatevelo”.
I palestinesi non sembrano disposti nemmeno a riconoscere Israele come lo stato di un altro “popolo”. Il primo ministro palestinese Salam Fayyad se ne è andato sbattendo la porta da un incontro col vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon dopo che questi aveva suggerito che la riepilogo del loro colloqui includesse il termine “due stati per due popoli”, anziché semplicemente “due stati”.
Finché i palestinesi continueranno a negare l’antica connessione fra ebrei e Terra d’Israele, finché continueranno a rifiutare il diritto del popolo ebraico a uno stato qualunque accordo di pace resterà scritto sulla sabbia sulle sponde dell’oceano: la più piccola marea lo spazzerà via.
Gli israeliani vogliono essere sicuri che, se loro fanno i sacrifici necessari per la pace e verrà creato uno stato palestinese, il conflitto sarà considerato definitivamente risolto; che la pace significherà la fine di ogni tentativo di distruggere lo stato ebraico.
Finché i palestinesi, e altri con loro, si rifiuteranno di accettare che Israele è effettivamente uno stato ebraico, che gli ebrei sono un popolo che ha diritto al proprio stato indipendente, non vi sarà alcuna certezza che quei sinistri progetti abbiano davvero fine.
Il rifiuto della proposta di Netanyahu – e delle richieste americane – per questo riconoscimento giunge in contemporanea con la visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al confine israelo-libanese, volta a rinnovare il suo appello per la distruzione di Israele. Il libanese Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, ha proclamato a una folla osannante che “il presidente Ahmadinejad ha ragione quando dice che Israele è illegittimo e che dovrebbe cessare di esistere”. Secondo un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti, tre quarti degli ebrei americani sono convinti che l’obiettivo degli arabi “non è la restituzione dei territori occupati, quanto piuttosto la distruzione di Israele”.
Piaccia o non piaccia ai palestinesi, Israele è già lo stato nazionale del popolo ebraico. Gli israeliani hanno già riconosciuto il diritto dei palestinesi ad avere un loro stato arabo-palestinese. Finché i palestinesi non riconosceranno il diritto del popolo ebraico ad avere il proprio stato, una vera pace non potrà mai arrivare.

(Da: Jerusalem Post, 25.10.10)

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