La minaccia del terrorismo internazionale connota l'attuale fase di trasformazione del sistema politico internazionale. Una ricostruzione delle vicende storico-politiche che hanno scosso l'intero pianeta. Da una parte lo Stato d'Israele e dall'altra la nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese, dietro l'affermarsi del terrorismo.
sabato 15 settembre 2012
Libia, ucciso l'ambasciatore Usa "Attacco pianificato da Al Qaeda" Obama manda i marines e i droni
L'assalto alla sede diplomatica
di Bengasi per un film blasfemo: quattro morti e decine di feriti.
Evacuato il personale americano
L’ombra di Al Qaeda si allunga sulla morte dell’ambasciatore Usa in Libia Chris Stevens, ucciso ieri notte nell’assalto alla sede di rappresentanza statunitense a Bengasi. Con lui hanno perso la vita altri tre americani, un funzionario e due marines. Nell’attacco sono rimasti feriti altri cinque civili statunitensi e sono morti una decina di agenti di sicurezza libici.
La reazione di Washington è durissima.
Gli Stati Uniti hanno deciso di evacuare tutto il personale diplomatico e non presente in Libia. All’ambasciata di Tripoli resterà solo una unità di emergenza. L’amministrazione Obama parla di atto «oltraggioso». Droni e almeno 200 marines che sono in viaggio per la Libia, come altre unità di elite, chiamate ad assicurare la sicurezza a Tripoli e Bengasi, come in Afghanistan ed Egitto. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che appena ieri aveva ricordato le vittime delle Torri Gemelle, ha promesso che «sarà fatta giustizia» ma che i legami fra gli Stati Uniti e la Libia «non si romperanno».
LA PROTESTA
Tutto è iniziato con la protesta per un film anti-Maometto che già ieri aveva scatenato le proteste al Cairo, con dimostrazioni violente sfociate nell’assalto all’ambasciata nella capitale egiziana, condito con scritte come «Osama bin Laden riposi in pace». Ma la concomitanza con l’anniversario dell’11 settembre non può rimanere una semplice coincidenza, nè tantomeno l’annuncio "ufficiale" della morte di Abu al-Libi, il numero due di Al Qaeda ucciso in giugno che proprio ieri Ayman al Zawahiri, il successore di Bin Laden, ha deciso di confermare.
IL FILM "BLASFEMO"
La dinamica degli eventi di Bengasi è ancora difficile da chiarire: secondo numerose testimonianze, una dimostrazione "pacifica" contro il film su Maometto è stata l’occasione per dar vita a un vero e proprio assalto, a colpi di armi automatiche, Rpg e mitragliatrici pesanti. I miliziani di Ansar al-Sharia, i ’partigiani della legge islamicà, protagonisti negli ultimi mesi di numerosi episodi di intimidazione e violenza «hanno bloccato tutte le strade di accesso alla sede Usa, e dicevano di voler uccidere tutti quelli che si trovavano dentro», ha raccontato un testimone, appartenente a una brigata dei ribelli incaricata di mantenere l’ordine a Bengasi. Il console italiano, Guido De Sanctis, che si trovava a poca distanza - e che stamani avrebbe dovuto incontrare proprio Stevens per «fare il punto sulla situazione» in vista dell’elezioni da parte del neonato Parlamento libico del nuovo premier - ha riferito di «un gran botto, il caos» e di una sparatoria intensa.
LA BATTAGLIA DI BENGASI
E' stato un confronto «feroce», andato avanti per ore e che, secondo le autorità libiche, ha lasciato sul campo almeno 10 ribelli incaricati della sicurezza. Ansar al-Sharia ha negato un coinvolgimento «ufficiale» nell’attacco, ma si è congratulata con coloro che hanno portato a compimento l’attacco «per difendere il profeta Maometto». Funzionari dell’amministrazione Usa, citate dalla Cnn, hanno parlato di un «attacco pianificato da al Qaida», nel quale la vicenda del film ’blasfemò ha svolto solo un ruolo «diversivo». Gli esperti anti-terrorismo collegano l’episodio all’uccisione di al-Libi, e a una vendetta di al Qaida: «Gli estremisti sapevano che l’ambasciatore era nell’edificio», spiegano alcune fonti. Altri due americani, del corpo dei Marines, sarebbero stati uccisi invece in una «casa» dove alcuni impiegati della sede diplomatica erano stati «messi al sicuro» dopo il primo assalto al consolato. Stevens è il primo ambasciatore americano assassinato dal 1979, l’ultimo aveva perso la vita in Afghanistan. E Washington non esclude neppure l’uso dei droni per dare la caccia ai responsabili. I medici hanno provato a rianimarlo per oltre un’ora e mezza senza successo. È morto per asfissia e i video e le foto che circolano sui suoi ultimi momenti sono atroci.
IL MONDO CONDANNA
La condanna dell’assalto a Bengasi è unanime: si sollevano i musulmani, la comunità internazionale, a partire dalla stessa Tripoli. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano parla di «vile atto terroristico», il premier Mario Monti, come l’Onu, sottolinea la «ferma condanna». «Orrore e sdegno per un gesto infame», sono invece le parole di Giulio Terzi. Ma il film su Maometto e l’arrivo dei Marines in Libia rischiano di creare nuove tensioni e violenze con i ribelli libici, anche quelli non legati all’Islam, che già parlano di «invasione Usa».
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/468286/
Film su Maometto, rabbia islamica L'Onu condanna attacchi e violenze Al Qaeda: colpite le ambasciate Usa
Rimane alta tensione in tutto
il Medioriente dopo gli attacchi. Obama: proteggete i cittadini
Continuate le manifestazioni contro il film anti-Islam. E attaccate quante più ambasciate Usa potete, in Medio oriente, Africa e Occidente. Questo a grandi linee il messaggio che Aqma, la cellula di al Qaida nella penisola araba ha lanciato a tutti i musulmani, come rende noto Site, il sito di base negli Usa che monitora le attività dei gruppi jihadisti sul web. Tutto questo mentre dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu arriva la condanna più ferma della serie di attacchi e violenze contro i consolati a stelle e strisce e degli altri Paesi occidentali avvenuti non solo nel nord Africa, ma anche in Asia e Australia. «Atti ingiustificabili qualsiasi siano le loro motivazioni», si legge nella nota, con riferimento alla pellicola che ha scatenato l’ira degli islamici, in cui si ricorda anche i principi fondamentali che tutelano l'inviolabilità delle sedi diplomatiche.
La pellicola "blasfema"
Al centro della disputa il film prodotto negli Stati Uniti, giudicato blasfemo perché insulterebbe Maometto, contro cui il mondo arabo fondamentalista ha indetto una «crociata». L’intenzione è quella di colpire obiettivi-chiave: funzionari e delegati delle ambasciate in primo luogo. Per questo migliaia di persone negli ultimi giorni sono scesi in piazza Nord Africa al Sud-Est asiatico, nel primo venerdì di preghiera dopo la messa in rete su Youtube della pellicola che è costata la vita all’ambasciatore americano in Libia, morto martedì notte insieme a tre connazionali. Perfino a Sidney hanno sfilato in oltre cinquecento al grido di «Decapitazione per tutti quelli che insultano il Profeta».
In Sudan
Epicentro degli scontri di ieri è stato Khartoum, in Sudan, dove sono finite nel mirino le sedi diplomatiche di Germania e Regno Unito. Proprio qui ci sono stati tre dei 10 morti rimasti sul terreno negli scontri - in alcuni casi violentissimi, in altri più blandi - con le forze di sicurezza intervenute a impedire saccheggi e vandalismi e a fermare gli assalti con ampio uso di gas lacrimogeni e idranti, ma anche sparando ad altezza d’uomo. E se i militari britannici sono riusciti a difendere i loro edifici, i tedeschi non sono riusciti ad arginare la furia dei manifestanti che premevano per entrare nel compound, mentre agitavano i vessilli neri dell’integralismo.
Le vittime
Intanto, riparte la conta delle vittime. Secondo il sito Tunisie Numerique, che cita fonti ospedaliere, è salito a quattro quello dei morti nella capitale, mentre in Libano un uomo è rimasto ucciso dalle forze di sicurezza dopo aver dato l’assalto a un fast food americano a Tripoli, seconda città del Paese. Difficile anche la situazione al Cairo, benchè i Fratelli musulmani del presidente Mohamed Morsi avessero ritirato un loro precedente appello a scendere in piazza in tutto l'Egitto. Centinaia di persone hanno continuato per tutta la giornata a fronteggiare la polizia, schierata massicciamente a protezione dell’ambasciata americana. E in serata è stato trovato nei pressi di una moschea il cadavere di un giovane.
L'ira del mondo arabo
Washington non perde tempo e, dopo aver inviato marines e droni a Bengasi in Libia, ha comunicato la spedizione di altri militari a protezione delle installazioni occidentali nella capitale yemenita Sanaa, dove le autorità sono nuovamente intervenute in forze con lacrimogeni e idranti. Ma le dimostrazioni di massa "globali" sono stati veramente molte, dal’Iran all’Iraq, dal Marocco alla Nigeria passando per Mauritania e Kenya, ma anche all'Algeria, dove il governo ha tagliato alla radice il problema, vietando e impedendo qualunque tipo di assembramento. In Asia, dopo l'Iran, la protesta più imponente ha visto diecimila persone in piazza a Dacca, in Bangladesh: anche qui bandiere americane e israeliane bruciate oltre a slogan rabbiosi contro «gli insulti al nostro grande profeta». Come in numerose città del Pakistan o dell’Afghanistan, a Giakarta in Indonesia o in India, a Madras, dove 86 persone sono state arrestate mentre marciavano verso il consolato Usa.
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/468680/
domenica 24 giugno 2012
domenica 17 giugno 2012
L'Egitto al bivio tra Islam e regime
Ugo Tramballi
IL CAIRO. Dal nostro inviato
«Abbasso il prossimo presidente». Forse è il grido orgoglioso di una rivoluzione permanente ma è probabile sia un'ammissione: quella di essere finiti in un vicolo cieco. Ieri era venerdì, giorno di manifestazioni per eccellenza in piazza Tahrir; oggi si vota per scegliere il primo presidente eletto democraticamente. Così almeno si presume. Ma la piazza che un tempo sembrava troppo piccola per contenere la Primavera egiziana, oggi è troppo grande per accoglierne i resti.
I seggi si aprono tutti alla stessa ora questa mattina e chiuderanno domani sera. Al primo turno e alle legislative di gennaio l'orario era stato allungato di un paio d'ore. Questa volta tutto dovrebbe finire entro le 20 perché si attende un forte astensionismo. La scelta uscita dal primo turno di tre settimane fa è tra due estreme: l'ex generale di Mubarak Ahmed Shafik e il fratello musulmano Mohamed Morsi. Il vecchio contro un nuovo pieno d'incognite.
Il favorito sembra Shafik. Il suo messaggio, ordine e sicurezza, ha avuto un particolare successo dopo 16 mesi di disordini e incertezze. Lo Scaf, la giunta militare che guida la transizione punta su di lui. Morsi, una seconda scelta del movimento islamico che aveva in mente un leader diverso, sembra in calo. Ma la fratellanza ha un apparato organizzativo senza uguali in Egitto (a parte i militari). E soprattutto il golpe bianco fatto giovedì dai militari potrebbe cambiare alcune cose. Le opposizioni detestano e temono i Fratelli musulmani quanto il vecchio regime, ma la chiusura del Parlamento ordinata dalla Corte costituzionale preoccupa di più. Salafiti estremisti, islamisti più moderati e ora anche il 6 Aprile, il movimento originario di piazza Tahrir, dicono ai loro di votare Morsi.
Ma non è così certo che siano ascoltati. Accettando le decisioni della Corte, ieri Morsi prometteva che se il voto non sarà trasparente, la fratellanza «potrebbe incominciare una seconda rivoluzione». Tutti ricordano che nella prima, quella iniziata nel gennaio 2011, gli islamisti non c'erano. Per essere più credibile, Morsi ha promesso che in caso di vittoria distribuirà posti e incarichi ai non islamisti. Ma il profumo della vittoria sembra si respiri nel campo di Ahmed Shafik, cioè di un vecchio regime ripulitosi dalle tossine del recente passato.
Ieri sera in piazza Tahrir, quell'"abbasso" a chiunque domani sera sarà presidente era il segno del nichilismo dei perdenti. «In Egitto abbiamo vissuto un periodo rivoluzionario governato dalle forze anti-rivoluzionarie, cioè dallo stesso regime contro il quale la gente si era ribellata», diceva con disarmante stupore un manifestante in piazza. La sera prima a poche centinaia di metri, nel salone delle feste di un grande albergo sul Nilo, Ahmed Shafik incontrava la sua gente. Niente slogan né bandiere. La borghesia, gli uomini d'affari, i dirigenti di Stato, non gridano né si agitano. C'erano anche una rappresentanza dei contadini del Delta e dei beduini del Sinai, per dare un'idea d'Egitto nel suo insieme. Ma soprattutto in sala c'era la maggioranza silenziosa, composta ed elegante. E c'era l'argenteria del regime militare che ha governato l'Egitto negli ultimi 60 anni: Jehan, la vedova di Anwar Sadat, la figlia più giovane di Gamal Nasser, nipoti dell'uno e dell'altro.
Sul palco hanno parlato in tanti, prima dell'ospite d'onore della serata organizzata dalla Camera di commercio egitto-canadese. Solo Jehan ha ricordato il coraggio dei giovani di piazza Tahrir: per tutti gli altri la rivoluzione era ormai archiviata. Una certezza di vittoria, riempiva la sala. Ma nessuno ha citato Hosni Mubarak al quale avevano tutti obbedito per 30 anni. Come se il successore di Nasser e Sadat non avesse mai fatto parte di quell'argenteria nazionale. Sta per nascere uno strano Egitto: non proprio come quello vecchio ma nemmeno nuovo.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-16/legitto-bivio-islam-regime-081400.shtml?uuid=Ab3xL8sF
lunedì 4 giugno 2012
Siria, Assad va all'attacco: «La guerra è orchestrata dall'estero»
ROMA - A quasi cinque mesi dal suo ultimo discorso e dopo 15 mesi di rivolte e repressione, il presidente siriano Bashar al Assad è tornato oggi a far sentire la sua voce. Per un'ora, in Parlamento, ha affrontato le questioni legate alla crisi del suo Paese, ha negato qualunque coinvolgimento nel massacro di Hula (25 maggio, 108 uccisi), ha accusato «forze straniere» e «terroristi» di essere all'origine dell'attuale situazione. E ha affermato di essere deciso a porvi fine.
Un discorso ai suoi parlamentari ma, anche, una risposta a Kofi Annan, inviato dell'Onu e della Lega Araba, che proprio ieri aveva denunciato il rischio «di una guerra civile a tutto campo», affermando che il mondo ha bisogno di vedere azioni e non solo di sentire parole da parte del presidente. Assad ha definito «abominevole» e «mostruosa» la carneficina di Hula e ha reso omaggio «a tutti i martiri, civili e militari». Poi l'attacco agli stranieri con l'affermazione che il suo Paese sta fronteggiando un «piano di distruzione», «una vera guerra orchestrata dall'estero». E l'assicurazione che non ci sarà resa: «Il terrorismo - ha detto - verrà fermato».
«Abbiamo cercato di usare ogni mezzo politico per uscire dalla crisi», ha continuato Assad, aggiungendo che però chi sta dietro al «terrorismo ha una missione da compiere e non si fermerà fino a quando non l'avrà compiuta. O quando noi riusciremo a fermarli... Non ci saranno compromessi». Parole decise, pronunciate con calma e poi ulteriormente spiegate. Non ci sarà alcun dialogo con gli oppositori «legati con l'estero». Allusione al Consiglio nazionale siriano (Cns), principale componente dell'opposizione che peraltro a sua volta rifiuta di avviare qualunque dialogo se Assad non si ritirerà. Tant'è che il commento rilasciato alla France Presse è stato lapidario. Il discorso di Assad, secondo Samir Nashar, indica la chiara volontà «di continuare la repressione nel sangue e di soffocare l'opposizione a qualunque costo».
Anche oggi, un bilancio fornito dagli attivisti parla di sette persone uccise ad Aleppo, Hama e Damasco da colpi d'arma da fuoco. Inoltre decine di civili sarebbero stati feriti in bombardamenti a Duma, vicino alla capitale. Al discorso di Assad ha reagito anche la sunnita Arabia Saudita, da sempre estremamente critica nei confronti dell'alawita presidente siriano. Il ministro degli Esteri Saud al Faizal ha accusato Assad di «manovrare» per «guadagnare tempo» e ha proposto «la creazione di una zona cuscinetto in Siria». Gli ha fatto eco la Turchia, con il premier Recep Tayyip Erdogan che ha accusato il presidente siriano di comportamento «autocratico». «Finora non ho visto - ha detto - un approccio democratico alle riforme». Intanto oggi anche in Libano vi sono stati morti in nuovi scontri tra sostenitori e oppositori di Assad. Almeno 4 nei pressi di Tripoli (nord libanese) hanno fatto salire a 14 il bilancio delle vittime da ieri mattina.
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/siria_assad_va_allattacco_la_guerra_orchestrata_dallestero/notizie/200115.shtml
martedì 29 maggio 2012
Siria, la linea dura dei Paesi europei, espulsi gli ambasciatori di Damasco
Roma, Londra, Berlino e Parigi
reagiscono al massacro di Hula.
L'Onu diffonde altri dettagli:
civili giustiziati e donne stuprate
Roma
Si intensifica la pressione internazionale sul regime di Assad. L'Occidente espelle gli ambasciatori del regime siriano di Bashar al-Assad dopo l’atroce massacro di Hula, che ha causato la morte di oltre 100 persone, tra cui moltissimi bambini. Mentre l’inviato speciale dell’Onu, Kofi Annan, nel corso di un incontro a Damasco con il presidente Assad, ha chiesto con forza «passi coraggiosi, non domani ma ora, per l’attuazione del piano» di pace. «Ciò vuol dire - ha avvertito Annan - che il governo e tutte le milizie filogovernative devono fermare tutte le operazioni militari».
La strage dei bambini, come ha scritto più di qualche osservatore, può davvero rappresentare il punto di svolta della crisi siriana. Moltissimi Paesi europei - tra cui Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna - hanno deciso oggi di espellere in modo coordinato i rappresentanti diplomatici di Damasco, dichiarandoli ’persona non gratà. Stessa cosa hanno fatto gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia. In una nota diffusa a Washington, la portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland, ha precisato che l’incaricato d’affari siriano (l’ambasciatore era già stato richiamato a Damasco per consultazioni) ha 72 ore di tempo per lasciare gli Stati Uniti. Mentre il presidente francese, Francois Hollande, ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatrice siriana (che di fatto non lascerà il Paese in quanto è anche ambasciatrice all’Unesco) e l’organizzazione della terza conferenza degli «Amici del popolo siriano» a inizio luglio a Parigi. «Assad‚ l’assassino del suo popolo. Deve lasciare il potere», ha detto il capo del Quai d’Orsay, Laurent Fabius, intervistato dal quotidiano Le Monde. Mentre il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha scritto su twitter che «dopo gli orrori di Hula», l’espulsione degli ambasciatori rappresenta un «messaggio forte e inequivocabile al regime di Damasco. Basta violenze».
«Una cosa è chiara e non solo dal massacro di Hula: con Assad la Siria non ha alcun futuro. Si deve fare strada a un cambiamento pacifico», ha commentato il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle. Mentre il suo collega spagnolo, Jos‚ Manuel Garc¡a-Margallo, ha puntato il dito contro l«’inaccettabile repressione» del regime siriano e ha anche rinnovato l’appello a Damasco a «cogliere l’occasione offerta da piano Annan». In un duro e significativo intervento, anche il premier islamico conservatore turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito Assad che la pazienza della comunità internazionale ha «un limite». Parlando davanti al gruppo parlamentare del suo partito, l’Akp, Erdogan ha denunciato il «disumano massacro» di Hula, attribuito oggi dall’Onu alle milizie filo-Assad. Il premier turco ha denunciato la «crudeltà» del regime, avvertendo che «c’è un limite alla pazienza e, grazie a Dio, anche alla pazienza del consiglio di sicurezza Onu». Mentre il Consiglio nazionale siriano (Cns), il principale movimento di opposizione al regime di Damasco, ha salutato l’espulsione dei diplomatici, chiedendo che il Consiglio di Sicurezza autorizzi il ricorso alla forza contro il regime. Prospettiva - almeno al momento - irrealizzabile per il veto di Cina e Russia, alleati di Damasco. La maggior parte dei Paesi occidentali, avevano già chiuso le loro rispettive rappresentanze diplomatiche a Damasco durante la repressione a Homs da parte delle truppe filogovernative siriane. Al di là del massacro di Hula - le testimonianze dei sopravvissuti raccolte dall’Onu parlano di vere e proprie ’esecuzioni sommariè - in Siria la repressione del regime miete vittime tutti i giorni, nonostante l’entrata in vigore (molto teorica), lo scorso 12 aprile, del ’cessate il fuocò compreso nel piano Annan. In 14 mesi, le violenze hanno causato la morte di 13mila persone, di cui 1.800 dal 12 aprile, secondo i dati dell’osservatorio siriano sui diritti umani.
Intanto dall'Onu arrivano i primi elementi dell'inchiesta sul massacro di Hula che evidenziano le gravissime responsabilità di Damasco. La maggior parte delle vittime non sono infatti state colpite dall'artiglieria, come si riteneva in un primo momento, ma passate per le armi in esecuzioni sommarie, avvenute casa per casa. «Famiglie intere sono state sterminate», ha affermato un portavoce dell'ufficio dell'Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani. Dei 108 morti (dei quali 49 erano bambini e 34 donne), meno di 20 sono morti sotto le bombe; il resto sono state vittime di esecuzioni sommarie, «compresa la gran parte dei bimbi assassinati».
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/456150/
giovedì 10 maggio 2012
Strage di studenti a Damasco: 55 morti e 372 feriti nel duplice attentato
Testimoni riferiscono di 11 bimbi uccisi nelle esplosioni Ministro Terzi: «Su intervento armato serve unanimità Onu» ] Testimoni riferiscono di 11 bimbi uccisi nelle esplosioni
Ministro Terzi: «Su intervento armato serve unanimità Onu»
MILANO - È salito a 55 morti e 372 feriti il bilancio delle vittime nel duplice attentato che ha colpito giovedì mattina Damasco, in Siria. Lo riferisce l’inviato della tv satellitare «al-Arabiya» che ha confermato che le due esplosioni sono avvenute nei pressi di una sede della sicurezza siriana e che uno dei due veicoli usati per l’attentato è un camioncino carico di esplosivo. Secondo testimoni tra le vittime ci sarebbero anche 11 bambini.
ATTENTATI TERRORISTICI - Due colonne di fumo si sono alzate sopra la capitale che negli ultimi mesi è stata oggetto di diversi attacchi. La tv di Stato siriana ha riferito di due «attentati terroristici compiuti in contemporanea» nella periferia sud di Damasco, nei pressi della tangenziale meridionale, all'incrocio detto Qazaz. L'emittente precisa che nel luogo degli attentati «si trovavano impiegati diretti al lavoro e bambini diretti a scuola».
LA TESTIMONIANZA - Un residente, che ha raccontato di esser arrivato a circa un centinaio di metri dal luogo di una delle esplosioni prima di esser respinto dalle forze di sicurezza, ha detto di aver visto vetri rotti e donne in lacrime. Le scuole nelle vicinanze hanno rimandato a casa i bambini per la giornata. Un altro residente ha raccontato che la polizia ha isolato il distretto di Kfar Souseh, che ospita un centro dell'intelligence militare, e che sono risuonati colpi d'arma da fuoco nell'aria. Secondo l'emittente siriana «ci sono decine tra morti e feriti». Sul luogo delle due esplosioni si vedono carcasse di auto bruciate e uomini che raccolgono resti umani da terra e dall'interno delle vetture.
LE AUTO - Ad esplodere sarebbero state due autobomba con 30 chili di tritolo che hanno provocato numerose vittime oltre a un cratere sulla strada. Sul luogo dell'attentato si è recato anche il comandante della missione di osservatori Onu in Siria, il generale norvegese Robert Mood, uscito illeso da un attentato a Deraa, che ha colpito il convoglio Onu sul quale viaggiava. Sei soldati della scorta sono rimasti feriti.Il comandante ha anche fatto un appello per fermare gli attacchi: «Noi, la comunità internazionale - ha spiegato Mood - siamo al fianco del popolo siriano e invitiamo tutti in Siria e all'estero affinché contribuiscano a fermare queste violenze».
KOFI ANNAN - L'inviato Onu e Lega araba per la Siria, Kofi Annan, ha condannato i sanguinosi attentati a Damasco definendoli «inaccettabili». «Questi atti odiosi sono inaccettabili e la violenza in Siria deve finire» ha detto Annan. «Ogni azione che aumenta il livello di violenza è controproducente per gli interessi delle parti in causa» ha aggiunto.
«DONATE IL SANGUE»- Quella di giovedì mattina «potrebbe essere la più forte» della serie di esplosioni che hanno colpito la capitale siriana da dicembre scorso, afferma il portavoce del ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdissi, in un messaggio pubblicato sul proprio profilo di Facebook. Makdissi ha fatto appello agli abitanti di Damasco affinché si rechino negli ospedali a donare il sangue per le vittime dell'attacco, in cui sono morte oltre 40 persone e 170 sono rimaste ferite.
GUERRA CIVILE - «Armare l'opposizione siriana spingerá il Paese verso la guerra civile» e la soluzione della crisi che imperversa in Siria da oltre un anno si cela in una «transizione sul modello yemenita». Ne è convinto il presidente tunisino Moncef Marzouqi, secondo il quale «di fatto la guerra civile in Siria è giá in atto, dal momento che alcuni soggetti in campo ritengono che armare l'opposizione porterá a una soluzione».
TERZI: IPOTESI USO DELLA FORZA-L'attentato di Damasco è «gravissimo» e «l'Italia stigmatizza nel modo più fermo il perpetrarsi di attentati, a qualsiasi natura e fonte siano riconducibili le matrici terroristiche» la condanna arriva dal ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Che sull'ipotesi di un intervento armato della Comunità Internazionale in Siria aggiunge: «Potrebbe essere considerata» dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, «ma ci vogliono le condizioni politiche» affinchè tutti i membri dell'organismo diano il loro lasciapassare in base all'articolo 7 della Carta Onu. Per la prima volta, quindi, Terzi si è mostrato possibilista sull'ipotesi dell'uso della forza armata, ha detto che «allo stato attuale si tratta di una possibilità». «Ci vuole una soluzione politica - ha aggiunto - guidata dal Consiglio di Sicurezza, auspicabilmente con una nuova risoluzione».
http://www.corriere.it/esteri/12_maggio_10/siria-damasco-esplosioni_648faafc-9a64-11e1-9cca-309e24d49d79.shtml
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