domenica 24 giugno 2012

La Nato, su richiesta di Ankara, ha convocato per martedi un incontro a Bruxelles per discutere dell'abbattimento di un caccia turco da parte della contraerea siriana e delle possibili reazioni del Patto Atlantico. La richiesta turca e' stata inoltrata invocando l'articolo 4 del Patto Atlantico, secondo cui un attacco contro un paese membro dell'alleanza e' un attacco contro tutti. Polveriera mediorentale a rischio di esplodere, dunque? Sulla carta - e nel contesto delle tensioni per i massacri siriani - la notizie potrebbe dare l'idea di un attacco contro Damasco. Autorevoli fonti diplomatiche raccolte da il Sole 24 Ore tuttavia escludono un'azione militare - "immediata o imminente" - e suggeriscono invece un coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per considerare nuove sanzioni contro Damasco, quelle si' il possibile preambolo di un intervento esterno per "prevenire gli eccidi di una guerra civile in Siria". La Francia e gli Stati Uniti avevano chiesto un incontro del consiglio di Sicurezza contro la Siria dopo i piu' recenti eccidi per mano dal governo di Bashar Assad gia' un paio di settimana fa. Ieri si e' aggiuntoil ministro degli esteri britannico Hague, questa volta aggiungendo il dossier attacco contro la Turchia. La Siria ha a sua volta reagito denunciando ieri che "terroristi" si inflrtano nel suo territorio in arrivo dalla Turchia. Siamo tuttavia ancora nel mezzo di una partita diplomatica a tutto campo, difficile, certamente pericolosa. Una partita che va molto oltre Siria e il recente attacco contro il caccia turco. Una partita che che mette in gioco lo scudo antimissile formalizzato durante il recente vertice Nato di Chicago, l'intero scacchiere mediorentale, la Russia, strenuo difensore di Damasco e l'Iran, alleato siriano, a sua volta controparte di un inconcludente negoziato per le sue palesi violazioni degli accordi contro la proliferazione nucleare. Cominciamo dai fatti piu' recenti. La Turchia ha chiesto oggi la convocazione di una consultazione della Nato in base all'Art. 4 dopo l'abbattimento di un suo caccia Phantom F-4 da parte della contraere siriana. La richiesta e' stata accolta. In preparazione degli incontro di martedi', Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu ha ammesso, sempre oggi, che il caccia ha in effetti violato le acque territoriali siriane, ma solo brevemente e certamente non in profondita'. Il ministro turco ha anche sottolineato che quando e' stato abbattuto il caccia turco era in acque internazionali e non e' mai stato avvertito. La Siria sostiene che il caccia era in acque territoriali siriane e che la contraeare ha agito senza conoscere l'identita' dell'aereo. Ma per dare un quadro completo della complessita' della situazione, occorre rilevare che il caccia era decollato dalla base turca Malatya-Erhac la sede del nuovo sistema radar anti-missile che dovrebbe proteggere l'Europa da possibili attacchi nucleari iraniaiani. I nuovi sistemi antimissile sono stati formalmente approvati durante il vertice della Nato di Chicago del 20 /21 maggio scorso. In quell'incontro si e' formalizzato che quattro paesi membri, Turchia, Polonia, Spagna e Romania ospiteranno basi radar per intercettare i possibili attacchi dei missili e piattaforme di lancio per missili antimissile. Il sistema tuttavia non sara' pronto nella sua forma completa prima del 2018. A Chicago, quando ho seguito il vertice Nato, ho percepito la forte tensione attorno alla vicenda antimissile anche perche' due giorni prima, con un plateale gesto di freddezza/protesta (proprio in contestazione del successivo vertice Nato) il leader russo Vladimir Putin aveva disertato il vertice del G8 a Camp David e aveva inviato in sua vece il primo ministro Dimitri Medvedev. La questione dello scudo antimissile e' uno dei grandi contenziosi Est/Ovest, ha riacceso polemiche, minacce di ritorsioni recproche e venti di guerra Fredda fra Washington e Mosca. La Russia protesta. Sostiene che il rischio di attacchi nucleari iraniani, molto lontani nel tempo, siano una scusa e afferma che non solo il sistema altera gli equilibri centrali della deterrrenza, ma puo' essere puntato contro gli arsenali nucleari russi. di Mario Platero Vladimir Putin sta per arrivare in Medio Oriente dove avra' incontri storici anche in Israele. Il leader russo si rende conto che con gli sviluppi recenti su Siria e Iran, rischia di perdere due alleati chiave nel contesto del calderone mediorentale. Vuole dare un forte messaggio non solo di presenza, ma anche di inevitabilita' di un ruolo centrale di Mosca nella regione, sia adesso in fase negoziale, che dopo se e quando la questione Siria/Iran si sara' stabilizzata. Possibile che l'attacco contro il caccia turco sia stato deciso dalla Siria dopo una consultazione con Mosca, suo grande alleato, che mantiene nel paese mediorentale una base navale? E l'Iran ? Di sicuro continua a svolgere un ruolo centrale in questa partita. Ora la Russia suggerisce un gruppo di contatto con la Siria e chiede, con una provocazione inaccettabile per Washington, che Theran faccia parte dei negozati. Sul fronte atomico poi, Theran procede rapidamente nel processo di arricchimento dell'uranio per poter armare testate nucleari. Lo sviluppo preoccupa Israele, che minaccia un attacco contro i centri nucleari iraniani. L'America e' riuscita ad ottenere sanzioni contro l'Iran dal consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha convinto Israele ad attendere. Le sanzioni partiranno ai primi di luglio. Nel frattempo il gruppo 5+1 sta negoziando senza successo con Theran un accordo per consentire agli ispettori della Iaea di avere accesso agli impianti iraniani e verificare quel che sostiene Theran e cioe' che gli impianti nucleari hanno unicamente uno scopo pacifico. L'ultimo incontro a Mosca, in coincidenza con il G20 di Los Cabos, si e' chiuso con un nulla di fatto. E le sanzioni contro Theran partiranno fra una settimana circa. Avranno davvero conseguene? Serviranno a bloccare lo sviluppo di armi atomiche? La risposta, ovvia e' no. L'Iran e' ormai vicinissimo a poter armare una bomba atomica. Che cosa fara' Israele in questo contesto se i negoziati del 5+1 (le grandi potenze piu' la Germania) con l'Iran falliranno del tutto. E' questa la seconda polveriera mediorenatale che potrebbe esplodere. Con quali conseguneze sulla fragilita' psicologica dei mercati, gia' messa a dura prova dalla crisi finanziaria? http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-24/dopo-attacco-siriano-turchia-144703.shtml?uuid=AberfSxF

domenica 17 giugno 2012

L'Egitto al bivio tra Islam e regime

Ugo Tramballi IL CAIRO. Dal nostro inviato «Abbasso il prossimo presidente». Forse è il grido orgoglioso di una rivoluzione permanente ma è probabile sia un'ammissione: quella di essere finiti in un vicolo cieco. Ieri era venerdì, giorno di manifestazioni per eccellenza in piazza Tahrir; oggi si vota per scegliere il primo presidente eletto democraticamente. Così almeno si presume. Ma la piazza che un tempo sembrava troppo piccola per contenere la Primavera egiziana, oggi è troppo grande per accoglierne i resti. I seggi si aprono tutti alla stessa ora questa mattina e chiuderanno domani sera. Al primo turno e alle legislative di gennaio l'orario era stato allungato di un paio d'ore. Questa volta tutto dovrebbe finire entro le 20 perché si attende un forte astensionismo. La scelta uscita dal primo turno di tre settimane fa è tra due estreme: l'ex generale di Mubarak Ahmed Shafik e il fratello musulmano Mohamed Morsi. Il vecchio contro un nuovo pieno d'incognite. Il favorito sembra Shafik. Il suo messaggio, ordine e sicurezza, ha avuto un particolare successo dopo 16 mesi di disordini e incertezze. Lo Scaf, la giunta militare che guida la transizione punta su di lui. Morsi, una seconda scelta del movimento islamico che aveva in mente un leader diverso, sembra in calo. Ma la fratellanza ha un apparato organizzativo senza uguali in Egitto (a parte i militari). E soprattutto il golpe bianco fatto giovedì dai militari potrebbe cambiare alcune cose. Le opposizioni detestano e temono i Fratelli musulmani quanto il vecchio regime, ma la chiusura del Parlamento ordinata dalla Corte costituzionale preoccupa di più. Salafiti estremisti, islamisti più moderati e ora anche il 6 Aprile, il movimento originario di piazza Tahrir, dicono ai loro di votare Morsi. Ma non è così certo che siano ascoltati. Accettando le decisioni della Corte, ieri Morsi prometteva che se il voto non sarà trasparente, la fratellanza «potrebbe incominciare una seconda rivoluzione». Tutti ricordano che nella prima, quella iniziata nel gennaio 2011, gli islamisti non c'erano. Per essere più credibile, Morsi ha promesso che in caso di vittoria distribuirà posti e incarichi ai non islamisti. Ma il profumo della vittoria sembra si respiri nel campo di Ahmed Shafik, cioè di un vecchio regime ripulitosi dalle tossine del recente passato. Ieri sera in piazza Tahrir, quell'"abbasso" a chiunque domani sera sarà presidente era il segno del nichilismo dei perdenti. «In Egitto abbiamo vissuto un periodo rivoluzionario governato dalle forze anti-rivoluzionarie, cioè dallo stesso regime contro il quale la gente si era ribellata», diceva con disarmante stupore un manifestante in piazza. La sera prima a poche centinaia di metri, nel salone delle feste di un grande albergo sul Nilo, Ahmed Shafik incontrava la sua gente. Niente slogan né bandiere. La borghesia, gli uomini d'affari, i dirigenti di Stato, non gridano né si agitano. C'erano anche una rappresentanza dei contadini del Delta e dei beduini del Sinai, per dare un'idea d'Egitto nel suo insieme. Ma soprattutto in sala c'era la maggioranza silenziosa, composta ed elegante. E c'era l'argenteria del regime militare che ha governato l'Egitto negli ultimi 60 anni: Jehan, la vedova di Anwar Sadat, la figlia più giovane di Gamal Nasser, nipoti dell'uno e dell'altro. Sul palco hanno parlato in tanti, prima dell'ospite d'onore della serata organizzata dalla Camera di commercio egitto-canadese. Solo Jehan ha ricordato il coraggio dei giovani di piazza Tahrir: per tutti gli altri la rivoluzione era ormai archiviata. Una certezza di vittoria, riempiva la sala. Ma nessuno ha citato Hosni Mubarak al quale avevano tutti obbedito per 30 anni. Come se il successore di Nasser e Sadat non avesse mai fatto parte di quell'argenteria nazionale. Sta per nascere uno strano Egitto: non proprio come quello vecchio ma nemmeno nuovo. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-16/legitto-bivio-islam-regime-081400.shtml?uuid=Ab3xL8sF

lunedì 4 giugno 2012

Siria, Assad va all'attacco: «La guerra è orchestrata dall'estero»

ROMA - A quasi cinque mesi dal suo ultimo discorso e dopo 15 mesi di rivolte e repressione, il presidente siriano Bashar al Assad è tornato oggi a far sentire la sua voce. Per un'ora, in Parlamento, ha affrontato le questioni legate alla crisi del suo Paese, ha negato qualunque coinvolgimento nel massacro di Hula (25 maggio, 108 uccisi), ha accusato «forze straniere» e «terroristi» di essere all'origine dell'attuale situazione. E ha affermato di essere deciso a porvi fine. Un discorso ai suoi parlamentari ma, anche, una risposta a Kofi Annan, inviato dell'Onu e della Lega Araba, che proprio ieri aveva denunciato il rischio «di una guerra civile a tutto campo», affermando che il mondo ha bisogno di vedere azioni e non solo di sentire parole da parte del presidente. Assad ha definito «abominevole» e «mostruosa» la carneficina di Hula e ha reso omaggio «a tutti i martiri, civili e militari». Poi l'attacco agli stranieri con l'affermazione che il suo Paese sta fronteggiando un «piano di distruzione», «una vera guerra orchestrata dall'estero». E l'assicurazione che non ci sarà resa: «Il terrorismo - ha detto - verrà fermato». «Abbiamo cercato di usare ogni mezzo politico per uscire dalla crisi», ha continuato Assad, aggiungendo che però chi sta dietro al «terrorismo ha una missione da compiere e non si fermerà fino a quando non l'avrà compiuta. O quando noi riusciremo a fermarli... Non ci saranno compromessi». Parole decise, pronunciate con calma e poi ulteriormente spiegate. Non ci sarà alcun dialogo con gli oppositori «legati con l'estero». Allusione al Consiglio nazionale siriano (Cns), principale componente dell'opposizione che peraltro a sua volta rifiuta di avviare qualunque dialogo se Assad non si ritirerà. Tant'è che il commento rilasciato alla France Presse è stato lapidario. Il discorso di Assad, secondo Samir Nashar, indica la chiara volontà «di continuare la repressione nel sangue e di soffocare l'opposizione a qualunque costo». Anche oggi, un bilancio fornito dagli attivisti parla di sette persone uccise ad Aleppo, Hama e Damasco da colpi d'arma da fuoco. Inoltre decine di civili sarebbero stati feriti in bombardamenti a Duma, vicino alla capitale. Al discorso di Assad ha reagito anche la sunnita Arabia Saudita, da sempre estremamente critica nei confronti dell'alawita presidente siriano. Il ministro degli Esteri Saud al Faizal ha accusato Assad di «manovrare» per «guadagnare tempo» e ha proposto «la creazione di una zona cuscinetto in Siria». Gli ha fatto eco la Turchia, con il premier Recep Tayyip Erdogan che ha accusato il presidente siriano di comportamento «autocratico». «Finora non ho visto - ha detto - un approccio democratico alle riforme». Intanto oggi anche in Libano vi sono stati morti in nuovi scontri tra sostenitori e oppositori di Assad. Almeno 4 nei pressi di Tripoli (nord libanese) hanno fatto salire a 14 il bilancio delle vittime da ieri mattina. http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/siria_assad_va_allattacco_la_guerra_orchestrata_dallestero/notizie/200115.shtml

martedì 29 maggio 2012

Siria, la linea dura dei Paesi europei, espulsi gli ambasciatori di Damasco

Roma, Londra, Berlino e Parigi reagiscono al massacro di Hula. L'Onu diffonde altri dettagli: civili giustiziati e donne stuprate Roma Si intensifica la pressione internazionale sul regime di Assad. L'Occidente espelle gli ambasciatori del regime siriano di Bashar al-Assad dopo l’atroce massacro di Hula, che ha causato la morte di oltre 100 persone, tra cui moltissimi bambini. Mentre l’inviato speciale dell’Onu, Kofi Annan, nel corso di un incontro a Damasco con il presidente Assad, ha chiesto con forza «passi coraggiosi, non domani ma ora, per l’attuazione del piano» di pace. «Ciò vuol dire - ha avvertito Annan - che il governo e tutte le milizie filogovernative devono fermare tutte le operazioni militari». La strage dei bambini, come ha scritto più di qualche osservatore, può davvero rappresentare il punto di svolta della crisi siriana. Moltissimi Paesi europei - tra cui Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna - hanno deciso oggi di espellere in modo coordinato i rappresentanti diplomatici di Damasco, dichiarandoli ’persona non gratà. Stessa cosa hanno fatto gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia. In una nota diffusa a Washington, la portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland, ha precisato che l’incaricato d’affari siriano (l’ambasciatore era già stato richiamato a Damasco per consultazioni) ha 72 ore di tempo per lasciare gli Stati Uniti. Mentre il presidente francese, Francois Hollande, ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatrice siriana (che di fatto non lascerà il Paese in quanto è anche ambasciatrice all’Unesco) e l’organizzazione della terza conferenza degli «Amici del popolo siriano» a inizio luglio a Parigi. «Assad‚ l’assassino del suo popolo. Deve lasciare il potere», ha detto il capo del Quai d’Orsay, Laurent Fabius, intervistato dal quotidiano Le Monde. Mentre il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha scritto su twitter che «dopo gli orrori di Hula», l’espulsione degli ambasciatori rappresenta un «messaggio forte e inequivocabile al regime di Damasco. Basta violenze». «Una cosa è chiara e non solo dal massacro di Hula: con Assad la Siria non ha alcun futuro. Si deve fare strada a un cambiamento pacifico», ha commentato il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle. Mentre il suo collega spagnolo, Jos‚ Manuel Garc¡a-Margallo, ha puntato il dito contro l«’inaccettabile repressione» del regime siriano e ha anche rinnovato l’appello a Damasco a «cogliere l’occasione offerta da piano Annan». In un duro e significativo intervento, anche il premier islamico conservatore turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito Assad che la pazienza della comunità internazionale ha «un limite». Parlando davanti al gruppo parlamentare del suo partito, l’Akp, Erdogan ha denunciato il «disumano massacro» di Hula, attribuito oggi dall’Onu alle milizie filo-Assad. Il premier turco ha denunciato la «crudeltà» del regime, avvertendo che «c’è un limite alla pazienza e, grazie a Dio, anche alla pazienza del consiglio di sicurezza Onu». Mentre il Consiglio nazionale siriano (Cns), il principale movimento di opposizione al regime di Damasco, ha salutato l’espulsione dei diplomatici, chiedendo che il Consiglio di Sicurezza autorizzi il ricorso alla forza contro il regime. Prospettiva - almeno al momento - irrealizzabile per il veto di Cina e Russia, alleati di Damasco. La maggior parte dei Paesi occidentali, avevano già chiuso le loro rispettive rappresentanze diplomatiche a Damasco durante la repressione a Homs da parte delle truppe filogovernative siriane. Al di là del massacro di Hula - le testimonianze dei sopravvissuti raccolte dall’Onu parlano di vere e proprie ’esecuzioni sommariè - in Siria la repressione del regime miete vittime tutti i giorni, nonostante l’entrata in vigore (molto teorica), lo scorso 12 aprile, del ’cessate il fuocò compreso nel piano Annan. In 14 mesi, le violenze hanno causato la morte di 13mila persone, di cui 1.800 dal 12 aprile, secondo i dati dell’osservatorio siriano sui diritti umani. Intanto dall'Onu arrivano i primi elementi dell'inchiesta sul massacro di Hula che evidenziano le gravissime responsabilità di Damasco. La maggior parte delle vittime non sono infatti state colpite dall'artiglieria, come si riteneva in un primo momento, ma passate per le armi in esecuzioni sommarie, avvenute casa per casa. «Famiglie intere sono state sterminate», ha affermato un portavoce dell'ufficio dell'Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani. Dei 108 morti (dei quali 49 erano bambini e 34 donne), meno di 20 sono morti sotto le bombe; il resto sono state vittime di esecuzioni sommarie, «compresa la gran parte dei bimbi assassinati». http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/456150/

giovedì 10 maggio 2012

Strage di studenti a Damasco: 55 morti e 372 feriti nel duplice attentato

Testimoni riferiscono di 11 bimbi uccisi nelle esplosioni Ministro Terzi: «Su intervento armato serve unanimità Onu» ] Testimoni riferiscono di 11 bimbi uccisi nelle esplosioni Ministro Terzi: «Su intervento armato serve unanimità Onu» MILANO - È salito a 55 morti e 372 feriti il bilancio delle vittime nel duplice attentato che ha colpito giovedì mattina Damasco, in Siria. Lo riferisce l’inviato della tv satellitare «al-Arabiya» che ha confermato che le due esplosioni sono avvenute nei pressi di una sede della sicurezza siriana e che uno dei due veicoli usati per l’attentato è un camioncino carico di esplosivo. Secondo testimoni tra le vittime ci sarebbero anche 11 bambini. ATTENTATI TERRORISTICI - Due colonne di fumo si sono alzate sopra la capitale che negli ultimi mesi è stata oggetto di diversi attacchi. La tv di Stato siriana ha riferito di due «attentati terroristici compiuti in contemporanea» nella periferia sud di Damasco, nei pressi della tangenziale meridionale, all'incrocio detto Qazaz. L'emittente precisa che nel luogo degli attentati «si trovavano impiegati diretti al lavoro e bambini diretti a scuola». LA TESTIMONIANZA - Un residente, che ha raccontato di esser arrivato a circa un centinaio di metri dal luogo di una delle esplosioni prima di esser respinto dalle forze di sicurezza, ha detto di aver visto vetri rotti e donne in lacrime. Le scuole nelle vicinanze hanno rimandato a casa i bambini per la giornata. Un altro residente ha raccontato che la polizia ha isolato il distretto di Kfar Souseh, che ospita un centro dell'intelligence militare, e che sono risuonati colpi d'arma da fuoco nell'aria. Secondo l'emittente siriana «ci sono decine tra morti e feriti». Sul luogo delle due esplosioni si vedono carcasse di auto bruciate e uomini che raccolgono resti umani da terra e dall'interno delle vetture. LE AUTO - Ad esplodere sarebbero state due autobomba con 30 chili di tritolo che hanno provocato numerose vittime oltre a un cratere sulla strada. Sul luogo dell'attentato si è recato anche il comandante della missione di osservatori Onu in Siria, il generale norvegese Robert Mood, uscito illeso da un attentato a Deraa, che ha colpito il convoglio Onu sul quale viaggiava. Sei soldati della scorta sono rimasti feriti.Il comandante ha anche fatto un appello per fermare gli attacchi: «Noi, la comunità internazionale - ha spiegato Mood - siamo al fianco del popolo siriano e invitiamo tutti in Siria e all'estero affinché contribuiscano a fermare queste violenze». KOFI ANNAN - L'inviato Onu e Lega araba per la Siria, Kofi Annan, ha condannato i sanguinosi attentati a Damasco definendoli «inaccettabili». «Questi atti odiosi sono inaccettabili e la violenza in Siria deve finire» ha detto Annan. «Ogni azione che aumenta il livello di violenza è controproducente per gli interessi delle parti in causa» ha aggiunto. «DONATE IL SANGUE»- Quella di giovedì mattina «potrebbe essere la più forte» della serie di esplosioni che hanno colpito la capitale siriana da dicembre scorso, afferma il portavoce del ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdissi, in un messaggio pubblicato sul proprio profilo di Facebook. Makdissi ha fatto appello agli abitanti di Damasco affinché si rechino negli ospedali a donare il sangue per le vittime dell'attacco, in cui sono morte oltre 40 persone e 170 sono rimaste ferite. GUERRA CIVILE - «Armare l'opposizione siriana spingerá il Paese verso la guerra civile» e la soluzione della crisi che imperversa in Siria da oltre un anno si cela in una «transizione sul modello yemenita». Ne è convinto il presidente tunisino Moncef Marzouqi, secondo il quale «di fatto la guerra civile in Siria è giá in atto, dal momento che alcuni soggetti in campo ritengono che armare l'opposizione porterá a una soluzione». TERZI: IPOTESI USO DELLA FORZA-L'attentato di Damasco è «gravissimo» e «l'Italia stigmatizza nel modo più fermo il perpetrarsi di attentati, a qualsiasi natura e fonte siano riconducibili le matrici terroristiche» la condanna arriva dal ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Che sull'ipotesi di un intervento armato della Comunità Internazionale in Siria aggiunge: «Potrebbe essere considerata» dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, «ma ci vogliono le condizioni politiche» affinchè tutti i membri dell'organismo diano il loro lasciapassare in base all'articolo 7 della Carta Onu. Per la prima volta, quindi, Terzi si è mostrato possibilista sull'ipotesi dell'uso della forza armata, ha detto che «allo stato attuale si tratta di una possibilità». «Ci vuole una soluzione politica - ha aggiunto - guidata dal Consiglio di Sicurezza, auspicabilmente con una nuova risoluzione». http://www.corriere.it/esteri/12_maggio_10/siria-damasco-esplosioni_648faafc-9a64-11e1-9cca-309e24d49d79.shtml

sabato 28 aprile 2012

Siria: Libano, armi per insorti su nave salpata da Libia

Tre container colmi di armi destinate agli insorti siriani sono stati scoperti a bordo della 'Lutfallah II', il mercantile battente bandiera della Sierra Leone intercettato due notti fa da unita' della Marina Militare di Beirut, al largo della costa settentrionale del Libano: lo hanno riferito in via riservata fonti della forze di sicurezza libanesi, secondo cui la nave trasportava mitragliatrici, lancia-razzi e lancia-granate, proiettili di artiglieria, missili ed esplosivi. Rimorchiata inizialmente fino al porto di Selaata, una cinquantina di chilometri a nord della capitale, la 'Lutfallah' in mattinata ha levato l'ancora e, sotto massiccia scorta, si e' diretta verso un'ignota destinazione. Era salpata dalla Libia e, dopo aver fatto scalo ad Alessandria d'Egitto, si stava dirigendo verso Tiro, nel Libano meridionale, nel cui porto era stata autorizzata ad attraccare. Comandante e membri dell'equipaggio sono stati affidati ai servizi segreti militari in tale citta', per essere sottoposti a ulteriori interrogatori. Quanto al carico di armi, e' stato trasferito a Beirut con tre camion, scortati da fuoristrada blindati dell'Esercito e da un elicottero. Il regime di Bashar al-Assad ha piu' volte denunciato che attraverso il Paese confinante, il cui governo gli e' di fatto favorevole, passano armamenti destinati ai ribelli in Siria . (28 aprile 2012) http://www.repubblica.it/ultimora/esteri/siria-libano-armi-per-insorti-su-nava-salpata-da-libia/news-dettaglio/4154732

domenica 15 aprile 2012

Il Quartetto non accusa gli insediamenti per l’impasse negoziale

Il Quartetto (Usa, Ue, Russa, Onu) ha diffuso mercoledì una dichiarazione che contiene parole trite e ritrite sugli insediamenti, ma si guarda bene dall’affermare – come avrebbero voluto i palestinesi – che la colpa dell’impasse nel processo diplomatico è delle attività edilizie ebraiche negli insediamenti. Nell’ultimo paragrafo del comunicato il Quartetto “esprime preoccupazione per azioni unilaterali e provocatorie da entrambe le parti comprese le perduranti attività negli insediamenti, le quali non devono pregiudicare il risultato dei negoziati, che sono l’unica strada per una soluzione giusta e duratura del conflitto”.
La dichiarazione è stata diffusa al termine di un incontro tenutosi a Washington fra il segretario di stato Usa Hillary Clinton, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, la rappresentante delle politica estera dell’Unione Europea Catherine Ashton, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, l’inviato speciale del Quartetto Tony Blair e il ministro degli esteri giordano Nasser Judeh. La Giordania non è membro del Quartetto, ma ha sponsorizzato l’ultimo round di colloqui israelo-palestinesi ad Amman lo scorso gennaio.
Il giorno prima dell’incontro, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat aveva affermato che il Quartetto avrebbe dovuto condannare pubblicamente Israele come responsabile del deragliamento del processo di pace. La dichiarazione del Quartetto, invece, non fa nulla del genere, anche se include un paragrafo che mette assieme l’estremismo violento e l’istigazione all’odio fra i palestinesi con gli atti vandalici di gruppi di coloni israeliani. “Nel prendere atto dei significativi progressi in materia di sicurezza conseguiti dall’Autorità Palestinese in Cisgiordania – si legge nel comunicato – il Quartetto esorta l’Autorità Palestinese a continuare a fare ogni sforzo per migliorare legge e ordine, combattere l’estremismo violento e porre fine all’istigazione. Il Quartetto – continua il testo – esprime inoltre preoccupazione per le attuali violenze e istigazioni dei coloni in Cisgiordania ed esorta Israele ad adottare misure efficaci, compresa quella di portare i responsabili di tali atti davanti alla giustizia”.
Un funzionario israeliano ha osservato che il Quartetto sembra aver fatto un semplice “copia e incolla” delle parole usate in precedenti dichiarazioni dell’Unione Europea in occasione di vari incontri sul Medio Oriente senza accorgersi che, proprio grazie all’azione delle autorità di sicurezza israeliane, nelle scorse settimane si è registrata una netta diminuzione dei casi di “ritorsione” contro palestinesi di Cisgiordania (cioè degli atti di teppismo e vandalismo giornalisticamente etichettati, in Israele, col termine “fargliela pagare”).
La dichiarazione del Quartetto rinnova poi il proprio impegno rispetto alla cornice delineata lo scorso settembre che prevedeva un incontro iniziale fra le due parti entro trenta giorni, per arrivare successivamente ad uno scambio di proposte globali su sicurezza e territorio entro tre mesi, a negoziati diretti e ad un accordo complessivo entro la fine del 2012.
L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha diffuso un comunicato in cui accoglie con favore la dichiarazione del Quartetto “che chiede la continuazione di colloqui diretti senza precondizioni”. Netanyahu, si legge nel comunicato, proporrà al primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad, nel loro incontro previsto per la prossima settimana, di elevare i colloqui fra le due parti al livello di un incontro diretto con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
Secondo quanto previsto, Fayyad dovrebbe consegnare a Netanyahu una lettera in cui è delineata la posizione palestinese sui colloqui; pochi giorni dopo, il negoziatore di Netanyahu, Yitzhak Molcho, consegnerà a sua volta una lettera di risposta per Abu Mazen. Funzionari governativi israeliani che hanno visto il documento hanno detto mercoledì sera a YnetNews che la lettera conterrà una dettagliata descrizione delle posizioni d’Israele su controllo della Valle del Giordano e carattere smilitarizzato del futuro stato palestinese, ma non conterrà la richiesta che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico. In passato Netanyahu ha più volte chiesto che l’Autorità Palestinese e il suo presidente Abu Mazen riconoscano il diritto di Israele ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico così come il governo israeliano riconosce la necessità che esista uno stato nazionale arabo-palestinese. I funzionari di Gerusalemme hanno detto che questa richiesta non comparirà nella nuova lettera e che verrà avanzata soltanto verso la conclusione dei negoziati di pace. “Non intendiamo avanzare precondizioni per l’avvio delle trattative – hanno spiegato – I palestinesi vorrebbero che Israele si impegnasse a ritirarsi sulle linee pre-’67, ma è una precondizione e noi siamo contrari a tali precondizioni. Allo stesso modo, noi non pretenderemo il riconoscimento da parte palestinese di Israele come stato ebraico prima della ripresa dei negoziati. Ora, prima di tutto, occorre sedersi e trattare”.
La dichiarazione del Quartetto fa appello inoltre alla comunità internazionale perché “garantisca il contributo di 1,1 miliardi di dollari in aiuti, necessari per soddisfare le esigenze finanziarie correnti dell’Autorità Palestinese per il 2012”. La dichiarazione incoraggia Israele e Autorità Palestinese a “cooperare per favorire lo sviluppo economico e sociale nell’Area C, che è di cruciale importanza per la fattibilità di un futuro stato palestinese e perché i suoi abitanti palestinesi possano condurre una vita normale”. L’Area C è la parte di Cisgiordania che è sotto controllo israeliano in base agli accordi firmati da Israele e Olp. Secondo i rappresentanti israeliani, ciò che conta nella dichiarazione del Quartetto è l’esortazione a sviluppare l’Area C in cooperazione fra israeliani e palestinesi, mentre negli ultimi mesi si era avuta notizia di varie iniziative unilaterali palestinesi in quella zona, talvolta sostenute da alcuni paesi europei. Tony Blair ha già operato con Israele e palestinesi in attività economiche nell’Area C, poi però l’accordo di riconciliazione Fatah-Hamas firmato lo scorso febbraio a Doha ha per il momento congelato quei progetti.
Infine, la dichiarazione del Quartetto afferma che la situazione “dentro e attorno alla striscia di Gaza” è destinata a restare “fragile e instabile finché Cisgiordania e Gaza non saranno riunite sotto la legittima Autorità Palestinese, che si attiene agli impegni assunti dall’Olp” (con gli accordi già firmati negli anni scorsi), e condanna i lanci di razzi da Gaza sulle città israeliane senza accusare Israele per le sue reazioni militari.

(Da: Jerusalem Post, YnetNews, 11.4.12)
http://www.israele.net/articolo,3408.htm